Il mio Alta Velocità corre verso Napoli. Dal mio finestrino “sedicinoni” vedo il film del paesaggio italiano, sempre straordinariamente attraente malgrado le aggressioni a cui è sottoposto.
Oggi pomeriggio ho lezione: più di cento studenti, forse centocinquanta, a cui insegno Storia, teoria e analisi del film. Dovrei parlare di Georges Méliès, grande mago del cinema di quando il cinema era bambino: un visionario artigiano, illusionista e inventore di trucchi, che Scorsese ha raccontato in Hugo Cabret. Il mio film a 300 all’ora scorre sul finestrino, è l’ennesimo schermo che vedo da stamattina, quando mi sono alzato.

Telefonino, grandi schermi pubblicitari sulla strada verso la stazione, pannelli sul binario, computer, schermi di controllo che mi indicano la velocità del treno: per ora la giornata è stata coperta dagli schermi. Giusto il tempo della colazione al bar, forse, senza le immagini animate. E qualche parola frettolosa prima di partire. Per il resto i miei movimenti sono accompagnati, ma anche protetti, dagli schermi, vero e proprio dispositivo di mediazione tra me e il mondo esterno.

Il film del finestrino mi incanta appena alzo la testa dal computer: il treno corre talmente veloce che vedo dei colori filanti su cui l’occhio riesce a fissare poche immagini. Case lontane e piccole, boschi, colline toscane, ci sono troppe cose da vedere e io corro troppo per vederle. E’ come un bombardamento dell’occhio questo film.

Intanto penso a Méliès, a come anche lui, più di cento anni fa, abbia trovato fantastici modi per bombardare l’occhio dei suoi spettatori, portandoli d’un colpo sulla luna o in viaggi attraverso l’impossibile.

Allora l’esperienza delle immagini in movimento era relativamente un’eccezione, un’occasione “festiva”. Oggi è il nostro spazio quotidiano, il nostro alimento principale. Eppure nessuno ce lo dice. Da bebè abbiamo imparato a mangiare, da studenti abbiamo imparato a leggere e scrivere. Ma nessuno ci ha insegnato a guardare. Il grande assente in questa storia è la scuola. Il cinema, la tv, internet, i videoclip, la videoarte, i videogiochi, la pubblicità: la formazione di un ragazzo passa molto più per questi canali che per quelli tradizionali.

Nove anni fa Facebook non esisteva, oggi raccoglie e riunisce (riunisce?) quasi un miliardo di abitanti del pianeta. Facebook è, con Youtube, forse il più grande luogo di condivisione e riuso di immagini in movimento. Ed è la più grande piazza sociale. La scuola se ne è accorta per caso? No, abbiamo una scuola iconofoba, in cui le immagini e la cultura delle immagini sono respinte fuori, al massimo stanno ai margini, in ore considerate poco più che uno svago, la pausa divertente in mezzo a un sacco di cose “serie”. Campioni senza valore, come si diceva un tempo per certi invii postali.

Invece imparare ad avere un approccio “ecologico” alle immagini in movimento sarebbe un affare maledettamente serio, uno dei grandi saperi che la scuola dovrebbe fornire bene e a tutti, esattamente come il sapere linguistico (i saperi linguistici) e quello scientifico. Se la scuola rinuncia a farsi carico di questo compito è il mercato che diventa il formatore di spettatori sempre più assuefatti. Questo la tv lo sa. E qualche volta se ne approfitta.

Sono quasi a Napoli, il mio viaggio sta per finire. Per tutto il viaggio ho guardato il computer e il finestrino, il finestrino e il computer. Sono ubriaco di immagini: ma mi pare anche di essere arricchito da questa ebbrezza. Credo proprio che oggi parlerò di Méliès, del Méliès inventore che aveva capito che giocare con le immagini vuol dire aprire l’occhio, stimolare l’intelligenza, attirare la curiosità. E proverò a condividere l’ebbrezza e la ricchezza della festa di immagini che mi circonda.

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