Troppe leggi, troppe situazioni diverse l’una dall’altra e soprattutto la difficoltà nel raccogliere i dati. Il presidente dell’Istat Enrico Giovannini così spiega il motivo per il quale si è sentito in dovere di rimettere il mandato al governo: la commissione che ha presieduto finora, “sulle retribuzioni di parlamentari e amministratori pubblici”, non ha prodotto risultati né attesi né almeno indicativi. La comunicazione delle sue dimissioni è arrivata proprio oggi, giorno della pubblicazione del rapporto della cosiddetta “commissione Giovannini”. Dell’organismo, oltre a Giovannini facevano parte Alberto Zito (università di Teramo), Giovanni Valotti (università Bocconi di Milano), Ugo Trivellato (università di Padova) e Roberto Barcellan (Eurostat).

A dire il vero le difficoltà della commissione erano già emerse alcuni mesi fa, quando l’organismo (costituito a luglio dal governo Berlusconi e poi confermato dall’esecutivo guidato da Mario Monti) confessò di non riuscire a pronunciarsi sul fatto se i parlamentari italiani siano davvero i più pagati d’Europa: hanno, sì, l’indennità più alta, ma una “diaria” bassa. Quindi la commissione chiese altro tempo.

Tempo che tuttavia, evidentemente, non è stato sufficiente a chiarire questo né altri aspetti. Un esito non è arrivato, scrive in una nota la commissione, “nonostante l’intenso lavoro svolto nei mesi scorsi”. Le difficoltà sono state: i vincoli posti dalla legge, l’eterogeneità delle situazioni riscontrate negli altri Paesi e le difficoltà incontrate nella raccolta dei dati.

“Solo in nove casi su 30 è possibile stabilire una buona corrispondenza tra le istituzioni e gli enti italiani” – cioè Camere, authority, Corte costituzionale, enti locali – “e quelle di tutti e sei i Paesi” europei scelti per il raffronto: Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Austria e Belgio. Anche quando la corrispondenza è stata trovata “non è stato possibile acquisire, per tutti e sei i paesi, i dati necessari, nè dati con la precisione richiesta, nè comunque dati ragionevolmente affidabili sotto il profilo statistico”. La conclusione è che “nessun provvedimento può essere assunto dalla Commissione per i fini previsti dalla legge”. La normativa prevedeva infatti di individuare un livello retributivo europeo, da porre come limite massimo agli stipendi italiani in organi ed enti dello Stato. Ma ciò, alla luce del lavoro effettuato dai professori della commissione, non si è rivelato possibile.

“Alla luce dell’esperienza maturata e delle evidenti difficoltà incontrate nello svolgimento dei propri lavori, anche a causa della formulazione della normativa vigente, la commissione ritiene dunque doveroso rimettere il mandato ricevuto” conclude la commissione. Il presidente Giovannini (il presidente della commissione è indicato per legge nel presidente dell’Istat) rimane necessariamente in carica. “Qualora il Governo ritenesse che la commissione debba proseguire nei suoi lavori – si legge nel comunicato – lo si invita ad esprimere tempestivamente il proprio orientamento, anche procedendo ad una nuova nomina dei suoi membri”.

Il governo: “Contenere comunque i tetti delle retribuzioni”. Il governo prende atto, ma va dritto verso le operazioni di revisione della spesa. L’esecutivo, scrive in una nota Palazzo Chigi, “proseguirà la propria azione nell’obiettivo di giungere ad una razionalizzazione dei trattamenti retributivi in carico alle amministrazioni pubbliche. Il governo rinnova la convinzione che occorra completare nel più breve tempo possibile il percorso avviato nel luglio 2011 per il contenimento delle retribuzioni dell’alta dirigenza nei limiti del tetto previsto.

Alla commissione – ricorda Palazzo Chigi – erano state affidate due funzioni: realizzare un’attenta ricognizione dei trattamenti economici percepiti annualmente dai titolari di cariche e incarichi pubblici nei sei principali Stati dell’Area Euro; e, sulla base dei risultati ottenuti, calcolarne la media ponderata rispetto al Pil.

La commissione: “Difficile raccogliere i dati”. La commissione Giovannini si è però soffermata su un aspetto in particolare, cioè il livellamento retributivo tra Italia e Ue: viene “segnalata” al governo “l’opportunità” di rivedere le norme adottate a luglio dal governo Berlusconi, che prevedono la fissazione in base alla media europea dei tetti agli stipendi di deputati e senatori, membri di organi costituzionali, vertici di authority e agenzie e figure apicali della pubblica amministrazione. Quelle disposizioni, infatti, “appaiono obiettivamente di difficile (se non impossibile) applicazione”.

In sostanza la commissione spiega che la raccolta di dati dipende “dalla volontà o possibilità di istituzioni ed enti” stranieri “di trasmettere i dati richiesti per le singole posizioni: ciò rende incerta la possibilità di calcolare le medie retributive e quindi i tetti, lasciando a priori indeterminato il risultato”. In particolare, “alla prova dei fatti” sono “risultate non confermate” le ipotesi su cui le disposizioni adottate dal governo Berlusconi poggiano. E cioè, che ci sia “perfetta corrispondenza tra la struttura istituzionale e la struttura retributiva vigenti in Italia e quelle vigenti negli altri Paesi”; che ci sia “piena disponibilità delle autorità” straniere “a fornire i dati con la disaggregazione necessaria a calcolare una ‘retribuzione omnicomprensiva”; che la trasmissione dei dati non sia impedita da norme sulla privacy.

Infine problemi propriamente statistici. “Inoltre – avverte la commissione – tenuto conto dell’effetto giuridico automatico attribuito alle medie retributive, l’interpretazione fornita a marzo 2012 dalla presidenza del Consiglio ha evidenziato l’impossibilità” di calcolare i “dati mancanti attraverso appropriate tecniche statistiche: infatti, la normativa richiede la disponibilità non di ‘trattamenti astrattamente computabili applicando le norme in vigore nei sei Paesi, ma esattamente di quelli ‘percepitì, vale a dire effettivamente corrisposti”.

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