I Vadoinmessico nonostante il nome italianissimo possa trarre in inganno, sono una band formata da cinque ragazzi provenienti da diverse località della terra che hanno base a Londra perché è qui che si sono incontrati Giorgio Poti e Alessandro Marrosu (italiani), Salvador Garza (messicano), Stefan Micksh (austriaco) e infine Joe White (inglese). Il loro album di debutto “Archaeology of The Future” è disponibile da oggi ed è uscito per Outcaste/Pias.

L’’ha ascoltato e recensito per noi in anteprima Fabrizio Galassi. Buona lettura.

L’importanza di questo disco non sta tanto nella bellezza compositiva, nel gusto delle fusioni, nell’accuratezza degli arrangiamenti, nel bilanciamento perfetto delle citazioni; il suo seme è uno di quelli che potrebbe germogliare un piccolo (siamo realisti) spostamento del baricentro ‘alternative’ dall’asse anglo-americano a quello mediterraneo. Vadoinmessico è in parte una summa del pop psichedelico e matematico che si può ascoltare dalle parti di Williamsburgh, Brooklyn, ma anche le sperimentazioni surf-world dei Vampire Weekend qui sono riportate adattandosi ai moti ondosi più miti del Mediterraneo. I Vadoinmessico hanno anche la cosa più importante di questi tempi (no, non è la pagina su Wikipedia): bellissime canzoni. Che permettono al quintetto londinese di realizzare vestiti tra i più sgargianti per silhouette formose, andando a pescare stoffe e percussioni a Salvador di Bahia, chitarre a Mali, ritmi nei piccoli stati caraibici durante l’età delle grandi rotte e melodie strappate a un impotente Paul Simon rimasto oramai senza più idee world-pop. Ma perché parlare di alt.mediterrean quando giriamo intorno a Londra, Africa, Sud America e Nord America? Perché il valore delle etichette è fondamentale, e nell’immaginario anglosassone – che sforna la nostra colonna sonora quotidiana – questa pecetta attaccata ai Vadoinmessico può staccarli dalla massa dei gruppi dream/math pop conteporanei (Foals, Maps&Atlases, The Antlers, Fools Gold, Beach House) e aprire un nuovo canale dedicato ai paesi in via di sviluppo musicale, i famosi PIGS: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna.

Giorgio Poti è tra i pochi cervelli italiani fuggiti verso i paradisi artisticamente evoluti ed esser riuscito a metter basi solide (gli altri sono stati i gemelli Pace dei Blonde Redhead e i Lacuna Coil), con l’aiuto di Salvador Garza (Messico) e Stephan Miksch (Austria) forma un trio per ovviare alla pioggia britannica, aggiungendo sempre più strumenti e sapori assolati per ricordarsi delle spiagge passate. Ognuno di loro porta in sala prove dischi degli anni ‘50 e ’60 dei rispettivi paesi con un’attenzione particolare a Rita Pavone che diventa una sorta di musa ispiratrice durante le maratone su YouTube. Al trio si aggiunge Alessandro Marrosu e quando con Poti ritornano a Roma vengono folgorati da un autobus dell’ATAC – ma soprattutto dal suo autista – che aveva modificato  la destinazione: adesso non era più Termini o Risorgimento ma Vadoinmessico. “Archeology of the Future” è esattamente come un autobus urbano con capacità magiche che ti permettono di obliterare il biglietto a Tiburtina e prenotare la fermata in centro america.

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