Le preoccupanti notizie di questi giorni circa le condizioni dei Pronto Soccorso della Capitale sono a mio avviso rappresentative solo di una parte del dramma della sanità. Infatti, i problemi della sanità riguardano un po’ tutte le strutture, non escluse quelle di ricovero e degenza.

Proprio in questi giorni sto “frequentando” il reparto ortopedia dell’ospedale sito sull’isola Tiberina per trovare un familiare (che manco a dirlo ha passato la prima notte in barella, al Ps), e, come mia abitudine (dopo anni di volontariato, anche come barelliere ed assistente nei reparti), mi piace colloquiare con i pazienti. Così c’è chi mi racconta della scortesia del personale che alla fine, a causa della condizione di soggezione in cui si trova il malato, rinuncia addirittura a chiamare con il campanello, per non sentirsi rivolgere in malo modo. Chi racconta che – provando crampi dalla sera prima ed avvertito prontamente il personale, che nulla di anomalo ha riscontrato – vede intervenire finalmente l’assistenza solo la mattina verso le 7.00, quando è ormai evidente che il “tiro” (i pesi utilizzati per mettere in trazione la gamba rotta) stanno rovinando a terra con tutta la struttura di sostegno, mentre il paziente la regge a fatica con il lenzuolo per evitare danni irreparabili. Chi chiede di poter utilizzare la padella, anziché il catetere, per evitare infezioni alle vie urinarie di cui soffre e, accontentato, si vede aiutata solo con fastidio e con ritardo “embhè, se je viene n’infezione je famo l’antibbiotico”, avrebbe (il condizionale è d’obbligo) risposto il cortese infermiere. O la signora che, dopo l’anestesia, non riesce ad urinare, se non poco a poco, sentendosi periodicamente rimproverare per aver bagnato il letto.

Il paradosso è che difronte a tali disservizi – asseriti o veri che siano (i pazienti, si sa, tendono ad esagerare) – il responsabile medico e l’infermiere caposala dicono che va tutto bene, che l’assistenza è adeguata e che non è nemmeno possibile affiancare del personale infermieristico esterno (che sovente sarebbe pagato dall’assicurazione), mentre l’infermiere di turno si lamenta dei 22 letti da assistere. Difficile capire chi sia nel vero, ma, di certo, chiunque sia entrato in una clinica privata sa che il clima, e la disponibilità, sono ben diverse da quelle che riservano gli ospedali romani. Anche questa, forse, ma malasanità, e per risolverla non occorrono più risorse. Solo più cortesia.

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