“Il Papa morirà”. Questo il contenuto choc dell’appunto riservato pubblicato da Il Fatto Quotidiano e che annunciava un “complotto omicidiario” nei confronti di Benedetto XVI. La notizia è stata commentata con grande prudenza dai media e lasciata sfumare senza clamore. Mi ha inquietato però una nota del 28 febbraio del vaticanista de Il Riformista, che si concentra sulla candidatura gradita di Scola, attuale arcivescovo di Milano legato a Comunione e Liberazione, e sulla possibilità che solo le dimissioni anticipate di Ratzinger assicurino un Papa europeo.

Questo mi ha spinto ad interpretare l’isolamento del teologo tedesco in rapporto all’attuale conflitto interno al capitalismo globalizzato, dominato dalla finanza. Non ho certo la presunzione di penetrare mondi per me inavvicinabili, ma la lettura del pensiero del Pontefice tedesco mi ha sempre colpito per intensità e originalità di alcuni suoi passaggi. Come pure per una presa di distanza meditata dalla direzione verso cui si muove il pensiero unico imposto dai potenti della terra. In fondo, la storia dei Papi dal Novecento non è più romana, ma è tutta legata alle scosse storiche della geopolitica mondiale. Mi chiedo allora: perché mai dovrebbe arrivare un papa europeo conservatore – possibilmente italiano – se non perché il vecchio continente è diventato nelle sue istituzioni il cane da guardia del liberismo più sfrontato?

Benedetto XVI, l’autore dell’enciclica “Spe Salvi”, poco conosciuta e che attribuisce a Marx il merito di andare oltre la Rivoluzione francese per allargare i confini della giustizia sociale, non è amato negli ambienti del capitalismo finanziario internazionale. Anche se non interviene nelle vicende italiane, è visibile il contrasto del Pontefice con la Conferenza Episcopale Italiana che ha un nucleo reazionario collegato ai centri di potere finanziario che danno un sostegno netto a Mario Monti. La rivalutazione della questione sociale, il contrasto tra poveri e ricchi continuamente citato, una rifondazione dell’economia cambiando il paradigma secondo cui la Chiesa agiva sulle ingiustizie facendo la carità anziché intervenire sulle cause, devono aver preoccupato quei poteri. Questi ultimi attingono a risorse che sono prodotte da grandi masse di popolazione (il 99%) e trasferite ad un’elite (l’1%) a dispetto della dignità, delle condizioni materiali del lavoro, della sicurezza sociale. La circostanza poi che vede i governi essere protagonisti da un lato della vendita di armi e dall’altro a doverle acquistare in cambio di “aiuti” (come Grecia e Italia) mentre perseguono politiche di distruzione delle conquiste sociali e dello stato democratico, sta mobilitando e turbando il mondo cattolico, anche se non in egual modo.

C’è una gerarchia che tace e una base che si oppone e sta dalla stessa parte del Papa nella condanna contro i capitalismi finanziari anonimi, da lui indicati come “il primo pericolo del mondo odierno”. La spaccatura attiene al sociale più che al religioso, come dimostra lo scontro tra Bertone e Tettamanzi a Milano. Il “cattolicesimo” esibito dai tecnici al governo, in gran parte partecipi – pur se a diversi gradi – della trasversalità delle lobby che medicano la crisi con le stesse ricette che l’hanno provocata, sta tutta dentro questi contrasti ed è il riflesso di uno scontro che volutamente confonde politica con religione. Il caos è grande e il Papa preferisce star fuori dagli scontri di potere interni alla CEI. Tuttavia, se si leggono le due Encicliche di Benedetto XVI, si capisce che l’applicazione tecnica priva di democrazia (un’indicazione della “Trilateral”) di misure economiche per conto terzi (BCE, FMI, Borsa di Londra) ad opera del governo attuale, non sostiene certo l’indicazione di “indirizzare l’economia ai fini di utilità sociale e al bene comune” (“Caritas in Veritate”).  Né di porre termine a una terrificante socializzazione del debito, che assolve il capitalismo industriale e bancario in contrasto con l’art.41 della Costituzione (“l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale… e deve essere indirizzata e coordinata a fini sociali”).

Parrà strano a chi ha in mente il Prefetto del Sant’Uffizio ma oggi il Concilio Vaticano II trova nel Pontefice almeno altrettante aperture sul piano sociale quanto trova chiusure dentro ambienti della CEI, di CL, dell’Opus Dei. Come pure delle istituzioni finanziarie e degli stessi professori che dopo messa entrano nei Palazzi della così screditata politica. Non è congiura fantasiosa ma pressione politica vera quella che si esercita dalle parti di San Pietro.

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