Ha la fama di essere uno geniale. Se non un regista, almeno uno sceneggiatore particolarmente ingegnoso. Sarà per il copione di The Truman Show (1998) di Peter Weir o per quello del suo Gattaca – La porta dell’universo (1997), ma Andrew Niccol alla fine degli anni Novanta era già considerato un vero autore, coccolato da parte della critica – basta riprendere in mano le recensioni delle riviste di tendenza per averne contezza – e da quel pubblico bisognoso di guru e di nomi forti che, spesse volte, dopo una manciata di pellicole si rivelano vere bufale.

Dopo l’ambiziosissimo S1m0ne (2002), interpretato da un Al Pacino allo zenit del suo istrionismo coatto, e il discutibile Lord of War (2005), i calcoli tornavano tutti anche per lui: i fuochi iniziali erano frutto esclusivo di una serie di fortunati eventi. Capitolo chiuso. A rimettere in gioco il giudizio come a suggerire, ancora una volta, la poca utilità di qualsiasi etichetta, esce oggi In Time. E il sospetto che davvero solo il tempo riuscirà a dare ragione del reale valore del regista diventa del tutto legittimo. Perché Niccol è uno irregolare, uno che fa film imprecisi e sbilanciati – quest’ultimo più di altri – ma comunque spinti da un’idea sottile, da uno scintillio inaspettato in grado di riscattare mille insicurezze.

In una società in cui si invecchia fino a 25 anni, allo scadere dei quali il tempo va letteralmente comprato pena la morte, Will Salas salva la vita ad un uomo che lo ricambia donandogli un secolo di vita. Impresso sul polso, un timer digitale segna secondi, minuti, ore, giorni, anni. I poveri corrono, si affrettano, rubano mentre i ricchi vivono nella lentezza, blindati, a spese dei primi. C’è aria di sovversione, di una rivoluzione che sa di fantascienza alta. Ad aiutare l’eroe proletario nell’impresa sarà, imprevedibilmente, la figlia di un magnate del tempo. Routine e bagliori, nuovi mondi d’accatto e svolte impreviste.

Non particolarmente memorabile in quanto a scrittura, In Time è ridondante laddove avrebbe dovuto essere più essenziale – la riflessione politica viene già fuori dall’assunto – e scarno dove avrebbe potuto essere maggiormente inventivo: la costruzione di un mondo visivo anche volutamente vicino all’oggi com’è questo poteva essere molto più sottile. Eppure conquista, qua e là addirittura brilla. Forse siamo di fronte a quel tipo di film che negli anni sarà saccheggiato da altri mille e migliori lavori.

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