Tra i tanti critici italiani che hanno parlato bene di questo film uno di essi ha scritto: ‘Hugo Cabret è un capolavoro. Il film più personale di Martin Scorsese‘. Si potrebbe anche essere d’accordo (…)”. Inizia così Gianni Rondolino sulla Stampa (6 febbraio, pag. 39)  la sua non-recensione dell’ultimo film di Scorsese, con titolo: “Ma ‘Hugo’ è un po’ ripetitivo e gli Anni 20 e 30 un po’ scontati”.

Fatto salvo il mio legittimo rodimento per l’omissis del nome e cognome che porto da 34 anni, ovvero per l’elusione della fonte, Rondolino prende l’incipit della mia recensione su questo blog “Scorsese, bella Storia (del Cinema)!”, e discetta di “capolavoro” e “personale” , in riferimento a “la crescita e la trasformazione di un ragazzino che, entrando in contatto con Méliès, si è trasformato in un autentico amante del cinema”, sottolineando come questo “può essere il cammino da percorrere per meglio comprendere il cinema di Scorsese”.

Insomma, Rondolino – si fa per dire – conclude : “Se Hugo Cabret, come sostengono non pochi estimatori, ci dà tutto ciò non possiamo che giudicarlo un capolavoro; ma se invece non riesce nel suo intento allora è un’opera a ben guardare non riuscita. E non lo è proprio perché lo stile di Scorsese, che è quasi sempre di grande rigore formale, qui si scontra con una sorta di ricostruzione alquanto scontata del cinema di Méliès e più in generale degli Anni Venti e Trenta del secolo scorso. (…)  Se Scorsese invece si fosse rifatto al suo stile inconfondibile avrebbe dato alla storia un senso autentico”.

Al netto di qualsiasi acrimonia, voglio sottoporre al decano Rondolino la critica istantanea di un bambino di 6-7 anni all’uscita di Hugo Cabret (Seregno, Cinema San Rocco, domenica 5 febbraio, proiezione ore 17.30), fedelmente riportatami da mia madre (nome e cognome disponibili su richiesta…): “Sì, papà, che bello! E’ un film che parla di un altro film”. Caro Rondolino, non è forse il “senso autentico” di questa storia?

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