Nel breve periodo la riforma delle pensioni del governo Monti porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione dei pensionati compresa tra il 10 e il 15 per cento. Di conseguenza, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni sarà progressivamente più anziana, in particolare fra le donne. La sostenibilità e l’adeguatezza del nostro sistema pensionistico si giocherà allora sugli effetti che questo avrà sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese.

di Carlo MazzaferroMarcello Morciano (Lavoce.info)

L’aumento dell’età di pensionamento è l’elemento caratterizzante della riforma delle pensioni approvata dal Parlamento in dicembre. L’Italia si è così affiancata alle nazioni europee più virtuose nel breve periodo ed è diventata la prima della classe nel lungo. In sintesi, il provvedimento legislativo mira ad aumentare l’età di pensionamento media nei prossimi decenni attraverso un irrigidimento delle condizioni di accesso per età/anzianità contributiva e tramite l’introduzione di vincoli sull’importo necessario affinché il diritto al pensionamento possa essere esercitato. Tutto ciò prelude a un cospicuo aumento dell’offerta di lavoro, sia nel breve che nel medio – lungo termine: in una società dove il numero degli anziani rispetto al totale della popolazione è destinato a crescere in maniera esponenziale, non può che essere una buona notizia.
Tuttavia, e questo è meno scontato, la popolazione attiva sul mercato del lavoro nei prossimi decenni, sarà progressivamente più “anziana”. Quali le implicazioni di questo cambiamento sulla produttività della nostra economia e sulla domanda di lavoro da parte delle imprese? Quali gli effetti dei prezzi relativi delle retribuzioni dei lavoratori anziani rispetto a quelli più giovani? È in realtà su questi punti che si giocherà la partita della sostenibilità e dell’adeguatezza del nostro sistema pensionistico. Un primo passo per capire quello che potrebbe succedere è quello di misurare l’entità del cambiamento atteso nel mercato del lavoro.

Gli elementi essenziali della riforma

L’aumento dell’età media di pensionamento viene perseguito con differenti strumenti:

  • la progressiva omogeneizzazione dell’età di pensionamento per vecchiaia, oggi differenziata per genere e categoria, e il suo agganciamento, con cadenza biennale, alle variazioni nell’aspettativa di vita all’età di 65 anni;
  • la previsione che il diritto al pensionamento di vecchiaia possa essere esercitato solo a patto che l’importo pensionistico maturato sia pari almeno a 1.5 volte quello dell’assegno sociale;
  • l’abolizione del sistema delle quote (somma di anzianità contributiva ed età) come canale di accesso al pensionamento di anzianità e la previsione di uscita in anticipo solamente attraverso il raggiungimento del requisito di anzianità;
  • il mantenimento della possibilità di accesso anticipato a 63 anni (indicizzati anche essi all’andamento delle aspettative di vita) per i lavoratori entrati nel mercato del lavoro successivamente al 1995, a patto che l’importo del trattamento pensionistico sia pari ad almeno 2.8 volte il trattamento minimo.

La figura 1 mostra, sulla base dei dati forniti dalla relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge che ha introdotto la riforma, l’evoluzione della forbice all’interno della quale ragionevolmente si situerà la grandissima maggioranza delle uscite per pensionamento nei prossimi decenni.

Figura 1
Età di maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia e al pensionamento anticipato


Il fenomeno più evidente che si coglie è il continuo innalzamento dell’intervallo all’interno del quale sarà possibile accedere al pensionamento. Eccezion fatta per i lavori usuranti, nel 2050 non si potrà andare in pensione prima di aver compiuto 66 anni e 7 mesi e l’età del pensionamento di vecchiaia sarà fissata a 69 anni e 9 mesi.
Con l’innalzamento dell’età di pensionamento, la riforma, giustamente, si preoccupa di assicurare al mercato del lavoro futuro un numero “sufficiente” di lavoratori per fronteggiare il forte aumento di quello dei pensionati: solo in questo modo, sembra essere il ragionamento, l’economia italiana sarà in grado di generare in futuro le risorse necessarie al finanziamento di pensioni adeguate e sostenibili. A causa della caduta nella fertilità registratasi nei passati decenni in Italia, infatti, si affacceranno nei prossimi decenni sul mercato del lavoro coorti di giovani lavoratori di dimensioni ridotte rispetto a quelle in uscita. (1) La riforma forza dunque tutti gli individui a restare più a lungo in attività: questo significa però che in futuro, per contrastare la caduta del numero di lavoratori di età più giovane, l’età media della forza lavoro sarà destinata ad aumentare in misura sensibile.

Gli effetti sull’offerta di lavoro

I risultati di un nostro modello di micro simulazione dinamica aiuta a comprendere la dimensione del fenomeno atteso nei prossimi decenni. (2)
La figura 2 mostra gli effetti della riforma pensionistica sullo stock di occupati e pensionati in una simulazione che comprende le modifiche apportate alla normativa pensionistica nel dicembre 2011, assumendo per il futuro uno scenario di partecipazione e occupazione coerente con quello osservato nel passato recente.

Figura 2
Variazione percentuale di occupati e pensionati a seguito degli effetti della riforma delle pensioni. 2012–2050


Si tratta evidentemente di cambiamenti speculari, seppure di dimensione percentuale differente a causa della diversa numerosità dei pensionati e degli occupati. In entrambi i casi tuttavia è evidente che l’impatto della riforma è importante. Nel breve periodo porterà a un aumento del 5 per cento circa della forza lavoro e a una riduzione compresa tra il 10 e il 15 per cento dei pensionati. L’effetto si attenua nella seconda parte del periodo esaminato, a conferma dell’esistenza di un impatto significativo dei provvedimenti della riforma nel breve periodo a seguito della forte restrizione sulle pensioni di anzianità.
In termini quantitativi le nostre stime segnalano che l’aumento dell’occupazione si concentrerà tra coloro che avranno più di 60 anni. La figura 3 dà una misura sia della dinamica di questo comparto della popolazione attiva prima della riforma del dicembre 2011, sia dell’impatto che la medesima eserciterà su questo segmento della popolazione. L’effetto è molto importante: se all’inizio della simulazione gli individui attivi con più di 60 anni non superano il milione di unità, alla fine del periodo crescono di più di quattro volte. Le modifiche contenute nel decreto “salva Italia” confermano le dinamiche di lungo termine e accelerano sensibilmente quelle di breve.

Figura 3
Numero di occupati con più di 60 anni prima e dopo la riforma pensionistica del dicembre 2011.


Le nuove norme sul pensionamento porteranno di conseguenza a un consistente incremento nell’età media di pensionamento, più sostenuto per le donne rispetto agli uomini, ma comunque di dimensioni importanti: secondo i dati della nostra simulazione si passerà da valori intorno ai 65/66 anni nel prossimo decennio a valori medi leggermente superiori ai 68 anni alla fine della simulazione. Quanto alla quota della popolazione attiva con età superiore ai 50 anni, ammonta a circa il 25 per cento del totale nel 2012, ma salirebbe a valori vicini al 40 per cento nel 2050. Detto in altri termini, ad aumentare dovrà essere soprattutto il tasso di partecipazione nell’ultima parte della vita attiva, che attualmente è basso nelle comparazioni internazionali ed è spesso indicato come uno dei punti deboli dell’economia italiana. La nostra simulazione mette in evidenza come, con il passare degli anni, il tasso di partecipazione sia destinato a crescere, in maniera particolarmente intensa per le donne.

I problemi aperti

Quali e quanti cambiamenti saranno necessari nel mercato del lavoro per sostenere un rimescolamento delle proporzioni presentate nelle figure?
Per dare una risposta a questa non semplice domanda, occorre interrogarsi sulla relazione tra invecchiamento della forza lavoro e produttività. Ad esempio, quali potrebbero essere le conseguenze sul profilo temporale delle retribuzioni o se vogliamo sul salario relativo dei lavoratori “anziani” rispetto a quelli “giovani” di un così forte cambiamento nel peso relativo dei primi rispetto ai secondi? Oppure è ragionevole pensare che la produttività media dell’economia possa riprendersi dalla stagnazione in cui si trova da più di un decennio in presenza di una forza lavoro che invecchia? Oppure ancora, in che modo le condizioni di salute della parte più anziana della popolazione attiva influenzeranno le performance dell’economia nel futuro prossimo e in quello più lontano? E infine: sarà ancora sostenibile nel futuro un modello di “welfare” nel quale la cura degli anziani e quella dei bambini viene lasciata in buona parte a carico delle donne adulte?
Sono questi gli aspetti che, a nostro parere, segneranno il successo o il fallimento della riforma delle pensioni nei prossimi anni. Sulla carta, la riforma assegna ai pensionati prestazioni adeguate e sostenibili, ma non è naturalmente in grado di influenzare la dinamica del prodotto, che in ultima analisi è la base sulla quale anche le pensioni vengono finanziate. Detto in altri termini, le regole pensionistiche influenzeranno nei prossimi decenni la dimensione dell’offerta complessiva del fattore lavoro. Nulla dicono, ed è ovvio sia così, sulla produttività di chi sarà sul mercato del lavoro e sulla domanda di lavoro che verrà da parte delle imprese.

(1) Il risultato resta valido anche considerando il flusso di neo-immigrati previsto dall’Istat per i prossimi decenni.
(2) Per una descrizione del nostro modello e delle sue applicazioni visita questa pagina

Carlo Mazzaferro: Dottorato in Economia ad Ancona, ha conseguito il Msc in Economics presso la University of Warwick. Dal novembre 2001, professore associato di Scienza delle Finanze presso la Facoltà di Scienze Statistiche di Bologna Membro del Capp, Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche, del Dipartimento di Economia Politica dell’Universita’ di Modena e Reggio Emilia.

Marcello Morciano: Dottorato in Economia a Bologna, ha conseguito il MSc in “Applied Economics and Data Analysis” presso l’Universita’ di Essex (UK). E’ attualmente ricercatore presso l’Universita’ dell’East Anglia (Norwich, UK) e membro del CAPP (Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche) presso il Dipartimento di Economia Politica dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

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