Non è solo calcio, non è (solo) follia da ultras. Ed è per questo che la strage dello stadio di Port Said, dove ieri sera sono morte oltre settanta persone, è pericolosa. Una vera e propria miccia accesa sotto una paglia ben secca, com’è l’Egitto di questi ultimi mesi. Nella tragedia dello stadio si mescolano, infatti, violenza degli hooligans e rabbia popolare, incapacità organizzativa e secondi fini politici. Un cocktail a dir poco esplosivo, tanto da far pensare – soprattutto nel cotè dell’opposizione alla giunta militare – che nei disordini ci sia stato qualche istigatore nascosto.

Lo dice chiaramente, oggi, la Campagna popolare per sostenere Mohammed ElBaradei, uno dei gruppi dell’opposizione. Descrive il massacro di Port Said come “una cospirazione per vendicarsi degli ultras”, che per gli attivisti di piazza Tahrir sono conosciuti come “gli eroi della battaglia dei Cammelli”, scoppiata esattamente un anno fa, e coloro che erano in prima linea nella “battaglia di via Mohammed Mahmoud” dello scorso novembre. Una cospirazione – proseguono gli attivisti – che aumenterà man mano che si avvicinerà il giorno in cui il Consiglio Supremo delle Forze Armate dovrà farsi da parte, tornare nelle caserme e passare i suoi poteri a un’autorità civile.

Cosa c’è di vero, nella teoria del complotto, o – per meglio dire – in una possibile strategia della tensione all’egiziana? Partiamo dai fatti. Il primo: gli ultras dello Ahly, una delle due squadre della Capitale, non sono comparsi con la rivoluzione del 25 gennaio. C’erano anche prima, e la guerriglia urbana che scatenarono nel 2010 al Cairo fu il primo segnale di una crepa nell’immagine di stabilità del regime di Hosni Mubarak. Poi, a rivoluzione scoppiata, furono determinanti per difendere piazza Tahrir e gli attivisti, sia nel febbraio dell’anno scorso, sia in questi ultimi mesi. Un gruppo, quello degli ultras dello Ahly, che rappresenta – anche dal punto di vista numerico e della fama – una vera e propria forza. Oltre trecentomila i seguaci su Facebook, dove una singola affermazione nella bacheca scatena migliaia di commenti.

Secondo fatto: tutte le testimonianze parlano di una tensione molto alta ben prima della partita, già dalla partenza degli ultras dal Cairo, e per tutto il tragitto sino allo stadio di Port Said. Tensione crescente, che però non ha portato a un aumento delle misure di sicurezza per evitare il contatto tra i due gruppi, i fan del Masry e quelli dello Ahly, e soprattutto non ha impedito che i sostenitori della squadra locale invadessero il campo nonostante il Masry avesse vinto la partita con un sonoro 3 a 1. Risultato: invasione di campo, caccia al giocatore dello Ahly sin dentro gli spogliatoi, caccia agli ultras e le porte delle uscite sprangate. Si dice che molti dei morti e dei feriti siano vittime della calca, per impedire la quale le forze dell’ordine non hanno fatto nulla. O molto poco. Tanto è vera la incapacità organizzativa delle forze dell’ordine, che oggi sono cominciate a cadere le prime teste, compresa quella del governatore di Port Said.

La questione politica, però, non è stata risolta con le dimissioni di ufficiali di polizia e autorità locali. Il nodo resta tutto al Cairo, dove oggi lo speaker dell’Assemblea del popolo, la camera bassa del parlamento egiziano, ha indetto una riunione di emergenza. La decisione presa da Saad el Katatni, uno dei leader dei Fratelli Musulmani e del partito Libertà e Giustizia, è in linea con il primo comunicato duro dell’Ikhwan nei confronti della polizia ma anche del governo, di cui in molti chiedono le dimissioni. Una durezza, quella degli islamisti, che viene superata di gran lunga dalla durezza degli attivisti di piazza Tahrir, decisi a far dimettere non il governo, ma la giunta militare, prima della scadenza di metà anno, quando si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali.

La partita, dunque, è e rimane quella della transizione dei poteri dai militari ai civili. Questa è la ragione per cui non di solo calcio sono morti gli ultras a Port Said. E questo è il motivo per il quale il rischio di ulteriore violenza sta aumentando a vista d’occhio. Per carenza di democrazia reale. Come spesso ha scritto in questi ultimi mesi Alaa al Aswani, sostenitore indefesso della Rivoluzione oltre che grande scrittore egiziano, la mancanza della sicurezza per le strade del Cairo non è altro che uno degli strumenti della controrivoluzione. Un modo per convincere la maggioranza (silenziosa) che è meglio un regime di una democrazia. Più sicuro, più ordinato, ma certo meno libero.

di Paola Caridi
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