“Chi evade avvelena il pane dei nostri figli”. L’aforisma montiano è cosa buona e giusta. Ma chi non riforma il Fisco realizzando un sistema fiscale equo, certo e rigoroso non fa altrettanto? Direi che fa ancor peggio, poiché in difetto di un sistema corretto e compiuto si tenta di legittimare la caccia alla streghe, alimentando un deleterio circolo virtuoso, secondo il quale se in Italia ci sono tantissimi evasori (ed è vero) occorre comprimere la libertà di tutti (ed è profondamente illiberale) per il bene comune.

Dunque tutti uniti e compatti, in una sorta di strategia a testuggine: il Governo, il legislatore (oramai di fatto solo l’esecutivo), l’Agenzia delle Entrate, la Guardia di Finanza, il Ministero delle Finanze, Equitalia, i Comuni. Strumenti di tale strategia sono: principalmente la comunicazione (gli spot che partono dai parassiti; le dichiarazioni di Bin Loden; la sovraesposizione del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera; ora anche il nuovo e ingannevole spot Rai sul canone ecc.), l’agevole accesso ai conti correnti, i controlli incrociati, presto il nuovo redditometro. Tutto ciò all’insegna dei toni sobri ma netti e intransigenti.

Ora non v’è dubbio come sia positivo (e fondamentale) creare una “cultura della legalità” per sovvertire un grave costume sociale, secondo cui l’esaltazione della furbizia-disonesta è tanto un vezzo quanto un pregio. Soprattutto se ciò altera le regole del gioco, agevolando i “furbetti” (ma occorre chiamarli col nome proprio: disonesti), i quali godono immeritatamente di servizi dello Stato e operano in un regime di concorrenza sleale sul mercato.

Ciò che è profondamente sbagliato è il metodo che, ammantato da un velo autocratico, trasforma tutti da cittadini-contribuenti a cittadini-evasori, sovvertendo il patto tra Stato e cittadini, il quale deve essere innanzitutto chiaro e certo. Il sistema tributario è l’insieme delle norme di uno Stato finalizzate a regolare i tributi diretti e indiretti (entrate dello Stato) prelevati, nell’esercizio di pubblici poteri. Se però la pressione fiscale è insostenibile (come avviene nel nostro Paese da tempo), da un lato si rompe il patto, e dall’altro si creano diseguaglianze poiché la pressione fiscale si abbatte solo sui contribuenti onesti. Chi non paga infatti è indifferente alla pressione fiscale.

Prima del metodo, mi si consenta, mi paiono profondamente sbagliati anche i presupposti. Lo Stato può e deve pretendere dai cittadini una condotta retta (e rigorosa) ma deve innanzitutto comportarsi come uno Stato retto e rigoroso. Più che uno Stato retto mi pare uno Stato e-retto. Eretto a colpire i cittadini, sfacciatamente immorale ed anche ingannevole.

Uno Stato retto e rigoroso si mostra innanzitutto esemplare secondo i seguenti canoni: buona amministrazione (dunque accorta, parsimoniosa, efficiente); intransigente con la cattiva politica (impedire l’accesso ai disonesti; impedire i conflitti di interesse; accertare le responsabilità del passato); lungimirante e riformatore (anticipare e prevedere il futuro; riformare la struttura ove necessario; garantire benessere alle generazioni future).

Mi pare che si proceda in tutt’altra direzione. Lo Stato non è in grado di riformare se stesso (dove sono i veri tagli ai costi della politica e l’argine alla mala-amministrazione?). Si aumentano le disuguaglianze, si finge di liberalizzare (energia, trasporti, banche e assicurazioni sono rimaste illibate). Non si procede con le vere riforme strutturali (Giustizia, Fisco, Lavoro) ma si fa finta di annunciarle (ancor peggio).

La vera riforma strutturale in materia di Giustizia pretende che si intervenga contestualmente su magistratura, organizzazione degli uffici giudiziari, riforma dell’ordinamento forense, codici di procedura civile e penale (e in un mese si può fare, se solo lo si volesse).

La riforma strutturale in materia di Fisco pretende che si abbia un Testo Unico, semplificato, chiaro (basta con le centinaia di circolari dell’Agenzia delle Entrate che confondono solo le idee!), certo, con una fortissima riduzione del numero delle imposte, con pene anche severe. S’impone l’abrogazione di tutte le imposte cialtrone frutto di uno Stato cialtrone (accise sparse qua e là, nascoste, invisibili). Serve una riforma serissima della Giustizia Tributaria, con magistrati preparati e soprattutto terzi. Terzietà nel giudicare (tra contribuente e amministrazione finanziaria) che spesso è mancata e ancora oggi sovente manca.

Soprattutto manca l’eguaglianza tra Stato e cittadino. Solo allora avremo una democrazia compiuta.

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