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La sicurezza nei trasporti ai tempi della Concordia

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Il caso della nave Concordia ci ricorda che gli eventi catastrofici nei trasporti tendono, umanimente, a trovare cause e colpevoli specifici, e a denunciare i rischi nei settori coinvolti. E’ sacrosanto tener desta l’attenzione sulla sicurezza, invocarne l’aumento, e controllare l’efficacia della vigilanza pubblica (sempre necessaria). Ma l’emotività non va molto d’accordo con la misura oggettiva dei rischi che si corrono viaggiando con i diversi mezzi di trasporto.

La sicurezza assoluta non esiste: si può misurare solo quella relativa. Relativa innanzitutto alla percentuale dei passeggeri coinvolti in un anno: 100 vittime hanno un significato diverso se sono su un totale di molte decine di milioni di viaggiatori o su poche migliaia. Il rischio che emerge è ovviamente diverso. In secondo luogo, rispetto ad altri paesi: se in Italia ci fossero molte più vittime ogni “X” viaggiatori rispetto ad un paese simile, questo è un forte segnale che qualcosa non funziona nei controlli pubblici, o nelle tecnologie ecc. Un altro fattore indicativo è l’andamento nel tempo degli incidenti: se, come nel caso dei servizi aerei, gli incidenti rispetto ai viaggiatori diminuiscono rapidamente negli anni, questo è indicativo o di progresso tecnico o di controlli più efficaci.

Vediamo ora, in estrema sintesi, la situazione nei diversi modi di trasporto. In generale, rispetto ai viaggiatori, il progresso tecnico ha fatto grandemente migliorare la sicurezza in tutti i settori. I dispositivi automatici in generale sbagliano meno degli uomini, soprattutto se sono “ridondanti” (cioè si vi sono diversi sistemi che operano in parallelo).

Il settore più pericoloso in relazione ai viaggi è quello dei motocicli: alte velocità, instabilità intrinseca, scarse protezioni. In secondo luogo vengono le automobili. Molto distanziate navi, treni, aerei e autobus: nei trasporti collettivi la normativa tende a essere più rigorosa che per i veicoli privati, e le imprese cui capitano molti incidenti perderebbero ovviamente quote di mercato, quindi ci stanno attente.

I pericoli sono soprattutto annidati nelle imprese “mordi e fuggi”, a volte subappaltate per risparmiare in paesi dove i controlli sono scarsi. Ma questo vale soprattutto per le compagnie aeree charter (cioè con aerei noleggiati, non quelle low-cost, che tendono ad avere aerei molto nuovi. Il famoso vetro interno fissato con lo scotch della maggior compagnia low-cost europea è una bufala mediatica: il vetro interno dei finestrini non ha funzioni strutturali, potrebbe anche non esserci…).

Un altro problema sono i costi della sicurezza: automobili o aerei assolutamente sicuri sono tecnicamente possibili, ma i costi sarebbero tali da limitarne l’uso solo a categorie ad altissimo reddito.

Per il caso della Costa Concordia, tuttavia, un problema sembra emergere: personale non sufficientemente addestrato per operazioni di emergenza. Unica attenuante, la rarità degli incidenti alle navi da crociera (cosa che probabilmente ha rilassato i controlli) e il fatto che comunque sono state evacuate in breve tempo 4.000 persone con i mezzi di salvataggio di bordo, sembra.

Comunque, occorre sempre, per arido che possa sembrare, ricordare i rapporti percentuali citati all’inizio: gli incidenti domestici (cadute, elettricità, stufe ecc.) provocano 9.000 vittime all’anno, assai più degli incedenti stradali (5.000). Ma in termini statistici è un numero piccolissimo, tanto che nessun paese lo ritiene un fenomeno particolarmente meritevole di azioni pubbliche.

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