Alla sua destra, sul divano accanto al muro, c’è Otto Preminger, e anche lui non è uno che fa tappezzeria, con il testone e il collo che sbucano fuori come un obice dal doppiopetto a sei bottoni, a mo’ di eterno Comandante della Zona Occupata”.
Tom Wolfe, Radical Chic (Castelvecchi, Roma, 2005, p. 51)

Con quell’accento tedesco che intramezza i chiacchiericci di un’alta società pazza per le black panthers, è uno dei più memorabili rivoluzionari da salotto descritti dall’augusto padre del New Journalism: allievo di Max Reinhardt, prima, e punta di diamante, dopo, di quella schiera di cineasti europei espatriati negli Stati Uniti in seguito all’avvento del nazismo negli anni Trenta, Otto Preminger è autore di un cinema che “rappresenta l’apogeo del classicismo.

La definizione è di Oliver Père, direttore del Festival del Film di Locarno, che per la sua sessantacinquesima edizione (dal primo all’undici agosto) dedicherà una retrospettiva al magnifico cineasta. Dopo gli omaggi a Ernst Lubitsch nel 2010 e Vincent Minnelli nel 2011, la manifestazione ticinese presenterà al pubblico l’opera di Preminger nelle migliori copie in 35 mm in circolazione, con introduzioni di cineasti, attori e critici e una tavola rotonda moderata da Carlo Chatrian, curatore della retrospettiva.

Da quel Lubitsch di cui fu allievo, come Billy Wilder e George Cukor, ereditò un certo tocco, una specie di fattore squisitamente umano presente anche nei generi più codificati che si troverà a rinnovare. Nel capolavoro Vertigine (1944), pregno di compassato romanticismo e di un accento necrofilo da manuale, in Un angelo è caduto (1945), Il segreto di una donna (1949) e, specialmente, nel fulgido e dimenticato Seduzione mortale (1952) affiora una costante malinconia mista tra l’innato senso di colpa dell’uomo e lo slancio verso la conoscenza del proprio destino. Meglio delle grandi produzioni in cui miscelò attenzione sociale e spettacolarità, è il caso di Exodus (1960) e di Porgy and Bess (1959), la sua vena migliore si ritrova nell’anomalo (e unico della sua carriera) western La magnifica preda (1954), in Anatomia di un omicidio (1959), punto di partenza imprescindibile per tutti i legal thriller a venire, o nello “scandaloso” L’uomo dal braccio d’oro (1955).

Proprio per via di quella marcata inflessione canzonata da Wolfe, l’altro grande esule Wilder lo scelse per interpretare il ruolo del nazista Oberst von Scherbach in Stalag 17 – L’inferno dei vivi (1953). Ironia della sorte, Preminger aveva origini ebraiche.

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