Viviamo negli anni dieci, ma come non cogliere quel gusto retrò anni ’70? Il varietà spopola in Tv e un’entità molto simile a un monocolore democristiano, con innesti di burocrati e accademici, viene sorretto da una maggioranza di solidarietà nazionale a (tenui) tinte cattocomuniste. Si discute alle Camere la solita manovra autunnale di austerità con l’immancabile aumento della benzina – un evergreen come i Bee Gees – insieme al bollo auto e la lotta all’evasione.

Certo non sempre la storia si ripete con esattezza (senza invocare la marxiana successione di tragedia e farsa). Ad esempio il varietà nei mitici ‘70 andava in onda di sabato. Adesso di lunedì. Le pensioni sembravano sacre grazie all’ondata demografica favorevole, mentre da tempo l’onda si è infranta e con essa l’equilibrio dei conti Inps. Al posto dell’enigmatico cavallo di razza, quintessenza del potere democristiano ed eminenza nera di faide correntizie, abbiamo un acclamato purosangue senza tessera dal prestigio immacolato. E da questo particolare cruciale dovrebbero discendere tutta una serie di conseguenze. Che peró stentano a materializzarsi.

Detta fuori dai denti, personalità estranee alla politica non dovrebbero dedicarsi principalmente a trovare nel cesto ancora qualche limone da spremere. Per quello bastavano Tremonti e Scilipoti. Dovrebbero spremere qualche altro agrume ben protetto, ma soprattutto ribaltare tutto il banco dove da troppo tempo marcisce ogni tipo di frutta, ortaggio e tubero tartufesco.

Un governo di emergenza deve rompere gli equilibri e recidere i nodi che veti incrociati e ricatti ai partiti di corporazioni e lobby hanno reso inestricabili. Insomma cambiare i parametri dell’equazione che impedisce di incidere sulla Pubblica Amministrazione attraverso le valutazioni di efficienza, fissare i costi per tutti gli enti locali – a cominciare dalla sanità – imporre non solo un bilancio in pareggio (già previsto dall’art. 81), ma un tetto alla spesa ordinaria, lasciando margini solo per le opere pubbliche, eliminare i sussidi alle imprese protette, turare i mille rivoli che alimentano non la spesa sociale, ma le confraternite dei soliti noti.

In sostanza se entra in un ufficio pubblico, in ospedale, in tribunale, a scuola o in università, il cittadino non deve fare un salto nel medioevo. E chi intraprende un’attività economica (soprattutto artigianale o di  piccola imprenditoria) da cui si creano posti di lavoro, non va trattato come un delinquente perché non rientra nell’alveo ideologico di burocrati, cricche, politicanti e sindacalisti.

Dopo l’ennesimo vertice di Bruxelles, che ancora una volta ha dissolto il sogno che si esca dalla crisi con euro di nuovo conio buttati nel calderone di un sistema marcio fino al midollo e di un motore grippato, speriamo che il goveno di emergenza (più che emergere per il momento galleggia annaspando) affronti i compiti per i quali è stato investito.

Di cosa parlo può essere riassunto in due cifre ben note: il debito pubblico italiano si avvicina ai 2.000 miliardi di euro. La manovricchia ammonta, ad essere ottimisti, a 30 miliardi di euro in due anni con misure impasticciate, ma al limite della sopportabilità. Se anche fossero 50 miliardi cambierebbe poco – non per chi paga, ovviamente – ma per la stabilità strutturale dei conti. O si cresce o si perisce, come si ripete da più parti. Tuttavia per crescere bisogna adottare misure dirompenti per gli equilibri arruginiti, non cambiare la disposizione dei mobili nelle stanze.

Conosciamo le obiezioni non fosse altro perché persistono da oltre quarant’anni: l’emergenza, il Parlamento, le compatibilità, la gradualità, insomma tutte le giaculatorie che costituiscono l’impalcatura retorica dell’immobilismo. La scusa del tampone è debole: i tamponi funzionano per poco, poi ci vogliono i punti di sutura.

Immagino Monti, Grilli, Giarda e qualche altro sappiano bene che questa manovra di per sé è un ulteriore giro nel circolo vizioso di stampo levantino. Tasse più alte, Pil in discesa, rapporto debito/Pil in salita, servizio del debito insostenibile, ancora più tasse, proteste di piazza, recessione più profonda e infine bancarotta.

Invece vanno immediatamente tolte risorse cospicue ai parassiti e messe nel circuito dell’economia: investimenti pubblici, flexicurity, pagamento dei debiti verso i fornitori, ricerca, riqualificazione professionale, semplificazione drastica per partite Iva e piccole imprese. Si cominci a usare le riserve auree della Banca d’Italia. Servono per le emergenze, quindi se non ora, quando?

Altrimenti presto assaporeremo un altro gusto anni ‘70. L’intervento del Fondo Monetario Internazionale. E non sarà dolce.

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