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Stage gratuiti, una piaga non solo italiana

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Se il tasso di disoccupazione giovanile in Italia ha superato il 30%, i giovani britannici non se la passano molto meglio: il 21,9% si trova infatti senza un impiego, il che rappresenta il peggiore risultato sin dai tempi di un altro governo conservatore, quello guidato da John Major.

A peggiorare la situazione troviamo anche il fenomeno degli stage gratuiti: è stato infatti stimato che al termine del 2011 oltre 100mila giovani residenti nel Regno Unito avranno svolto almeno un internship gratuito nel corso dell’anno.

Nei giorni scorsi, parlando con Noel Hatch, presidente di quel Transeuropa Network di cui sono co-fondatore, gli chiesi se conoscesse qualcuno che avesse svolto uno stage gratuito a Londra. La sua risposta fu eloquente: “We all have done unpaid internships in London at some point” (“Abbiamo tutti fatto degli stage gratuiti a Londra, chi prima chi dopo”).

Come se non bastasse, la durata degli stage si sta sempre più allungando, mentre le probabilità di  assunzione alla conclusione del tirocinio si stanno riducendo al minimo. In poche parole le aziende (e certamente non solo quelle britanniche) stanno sostituendo i lavoratori retribuiti con stagisti non pagati, o altamente sottopagati.

Inoltre, dato che per svolgere stage gratuiti bisogna contare sul sostegno economico dei familiari, questi divengono un privilegio da cui sono esclusi i giovani  non provenienti da ambienti benestanti.

La situazione ha raggiunto limiti talmente insostenibili, soprattutto in alcuni settori quali arte (in cui il 92% degli stage offerti sono non pagati), moda (77%) e pubbliche relazioni (76%), da spingere gli avvocati del Whitehall a intervenire sostenendo che gli stagisti dovrebbero essere riconosciuti come “normali” lavoratori e che pertanto avrebbero diritto a ricevere il minimo salariale (minimum wage) di 6,08 sterline all’ora garantito dalla legislazione britannica per i lavoratori maggiori di anni 21.

Qualora tale disposizione dovesse essere applicata si tratterebbe di una svolta epocale per una nazione in cui circa l’87% degli stagisti viene non retribuito, o comunque pagato al di sotto del minimum wage.

Le problematiche relative agli stage non riguardano solamente la Gran Bretagna o l’Italia, bensì tutta Europa, pertanto è a mio avviso necessario trovare una soluzione europea.

Come già sostenuto dalla ventisettenne (ebbene sì!) europarlamentare danese Emilie Turunen è necessario che gli stage abbiano un limite di durata ben definito, offrano garanzie riguardanti il valore formativo e garantiscano una retribuzione minima.

Per definire questi e altri parametri, diversi esperti e organizzazioni del settore hanno stabilito una Carta di qualità degli stage che personalmente mi sento di sottoscrivere appieno, nella speranza che venga garantita per legge a livello comunitario e implementata dai datori di lavoro di tutta Europa.

Federico Guerrieri, Head of Programs, European Alterntaives

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