Come tenere insieme Che Guevara e Sant’Agostino, Dario Fo e i gesuiti, le lotte studentesche e operaie degli anni Settanta e la ricerca teologica di Sergio Quinzio? Gaetano Liguori le tiene insieme con la sua musica. Pianista jazz, ha suonato nell’aula magna dell’università statale occupata, negli anni del Movimento studentesco. I suoi dischi avevano titoli come Cile libero, Cile rosso o Cantata rossa per Taal El Zaatar. Il suo ultimo album, appena uscito, si chiama invece Noi credevamo (e crediamo ancora). Vi suona il Gaetano Liguori Idea Trio, con Roberto Del Piano al basso e Filippo Monico alla batteria. Il pianoforte di Liguori aggiunge al suo jazz frammenti e citazioni di Bella ciao e di El pueblo unido jamas sera vencido, di El quinto regimiento e di Hasta siempre Comandante.

Più di trent’anni dopo, l’ideologia è svaporata, ma la musica tiene ancora insieme l’idea che non è stato sbagliato “credere”, tanto che “crediamo ancora”. In un elenco eclettico e visionario, Gaetano Liguori allinea, tra le cose di cui non ci si deve pentire, i Beatles e i Rolling Stones, il Vietnam di Ho Chi Minh e il Che, Sergio Leone e Sam Peckinpah, Thelonious Monk e Charles Mingus, la Resistenza e Woodstock, Joe Cocker e Malcom X, Stockhausen e Padre Turoldo, Don Milani e Frank Zappa, Jimi Hendrix e i Blues Brothers, Ingmar Bergman e Pier Paolo Pasolini, Jack Kerouac e Mani pulite.

Ma Gaetano Liguori è ormai più che un musicista. Insegna pianoforte al Conservatorio, continua a comporre musica e a fare concerti, ma è ormai soprattutto un catalizzatore di iniziative culturali. Per il circolo San Fedele dei gesuiti di Milano organizza presentazioni di libri e dibattiti con gli autori. Ha composto un oratorio su testi di Sergio Quinzio e uno su brani di Sant’Agostino. Ha messo insieme le persone che hanno prodotto la nascita di A cento passi dal Duomo, uno spettacolo teatrale sulla mafia a Milano che Liguori porta in giro per l’Italia assieme a Giulio Cavalli.

È stato candidato alle elezioni amministrative, in passato, per i Comunisti italiani e, all’ultima tornata, per l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Il seggio non gli interessa, gl’importa attraversare gli ambienti, incontrare le persone, mischiare le esperienze. Celebra l’anniversario delle Brigate internazionali che hanno combattuto per la Repubblica in Spagna. Visita i campi palestinesi. Con la stessa intensità, anima gli incontri culturali organizzati per il San Fedele. “A Milano ci sono pochi spazi culturali, il circolo dei gesuiti è uno di questi, perché non impegnarsi? In una società degradata come la nostra, certi posti diventano avamposti culturali. Vale la pena di misurarsi in un percorso che non definisco di fede, ma di ricerca”. La musica lo accompagna sempre, in ogni percorso. Dagli anni Settanta a oggi: “Noi credevamo (e crediamo ancora)”.

Il Fatto Quotidiano, 10 novembre 2011

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