Ruée Libre! Questo il motto che ha guidato la Fédération nationale des arts de la rue verso Place de la République, Sabato 29 Ottobre a Parigi. Un tentacolare avvicinamento ai candidati alle elezioni presidenziali del 2012 nei panni di spettatrice non pagante. E così, coinvolgendo la cittadinanza in una spensierata manifestazione fatta di balli, musica e allegria, diversi artisti hanno animato un piacevole pomeriggio parigino, intasando il monumento centrale della piazza con una piramide di sedie. Simbologia spiccia per dichiarare con forza quello che nel manifesto della Federazione è l’idea centrale: l’arte non è unidirezionale. Il legame tra il pubblico e l’artista deve essere composto d’interazione, di rottura degli schemi e di apertura alla città. E allora buttare le sedie è solo il primo passo verso quel palco che perde i suoi confini e si allarga fino a includere lo spazio cittadino, moltiplicandosi a dismisura. Lo scopo? In primis, facilitare l’accesso all’arte a un numero sempre maggiore di persone, sburocratizzando il concetto d’arte che da troppo tempo viene legato a delle stilizzate categorie d’intenditori snob. Quindi, sovvertire il meccanismo consolidato di riduzione dello spazio e dei finanziamenti statali e agire sull’arte stessa, demolendo le pareti accademiche a beneficio della libertà d’espressione e del nomadismo degli artisti.

A qualcuno questo progetto potrà sembrare utopico, soprattutto a quell’Europa dimentica d’essere stata un centro culturale di ampio respiro – e spesso dimentica di basare gran parte della propria fortuna odierna sull’arte “passata”. Ma ci piace pensare che accendere una lampadina in un oscurantismo forzato possa essere utile. «Bisogna ripensare le priorità – sostiene Pierre Prévost, autore ed attore, Presidente della Fédération nationale des arts de la rue. – Noi artisti non domandiamo veri aiuti, né prebende, e tantomeno di essere ufficialmente riconosciuti. Chiediamo solo di poter agire». Ma sono davvero così scarne le richieste fatte da questi “ignoti” saltimbanchi di strada? In effetti pare proprio di sì. Curiosamente, uno dei passi più interessanti e più politici nella rivendicazione pubblica ripetuta più volte in piazza, recitava che «Se c’è qualcuno che davvero vuole proporre di investire nell’arte, che possiamo dirgli? Ben fatto!». A chi si è abituato a roboanti dichiarazioni, a improbabili promesse, a lunghi discorsi senza capo né coda, questa frase può sembrare infantile, e forse effettivamente lo è davvero. Ma come possiamo realisticamente aspettarci qualcosa di più dopo che anni e anni di politica illusionista ci hanno portato ad unire il termine “promesse” alla desolante immagine delle utopie irrealizzabili?

A questa involuzione gli artisti presenti in piazza a Parigi rispondono che «Ormai non è più tempo di riunirci in circoli chiusi, quanto di ritrovarci cittadini, agire all’interno delle nostre città, al di là del pubblico, al di là delle istituzioni che se ne occupano», tornando alla base dell’arte stessa: l’azione.

E così gli attori e il loro pubblico si sono ritrovati ad appoggiare delicatamente le sedie sulla statua immobile in Place de la République, a sentire la musica e i piedi che si muovono a ritmo. La polizia sta ai margini della manifestazione, guida il traffico o batte i grossi scarponi neri a tempo, e allora si continua a ballare. E poi si accendono i fumogeni rossi, e la massa festante sembra solo chiedere a tutti di guardare, proprio lì in mezzo. Come per dire al mondo «Vedete cos’è l’arte?».

Perché l’arte per l’arte è un concetto obsoleto, l’arte di Stato anche. L’arte è Pubblica, tutto qui.

Foto e testo di Davide Riccardo Weber, fotografo
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