Tra i registi italiani colpevolmente meno conosciuti dal pubblico e meno storicizzati dalla critica figura senza alcun dubbio Florestano Vancini (1926-2008), autore di importanti pellicole sempre più invisibili in televisione come in home video. Chi volesse può recuperare in piccolissima parte il torto verso l’opera del troppo dimenticato cineasta ferrarese sintonizzandosi su Rai Storia il prossimo sabato 29 ottobre alle ore 13 (oppure in replica a notte fonda), quando per il progetto Rewind – la Fiction, la Storia, le Storie andrà in onda il suo capolavoro, Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato.

Scritto insieme a Fabio Carpi (altro autore rimosso col quale prima o poi dovremo fare i conti), Nicola Badalucco e Leonardo Sciascia, il film racconta l’insurrezione popolare scoppiata a Bronte (Catania) nell’agosto del 1860 a causa delle deprecabili condizioni di vita dei cittadini e la conseguente repressione condotta dal generale garibaldino Nino Bixio che, dopo un processo sommario, fece fucilare cinque dei rivoltosi.

Con alle spalle l’ispirazione di una novella di Giovanni Verga dal titolo Libertà, questa preziosa lezione di impegno politico, oltre che di documentazione storica, ribadisce quanto al passaggio dalla supremazia dei Borboni a quella dei Savoia non abbia fatto seguito nessuna rivoluzione dei meccanismi di potere del Mezzogiorno. Messa in scena senza didascalismi e lezioncine moralistiche, linguaggio cinematografico semplice e un buon cast – di cui fanno parte Ivo Garrani e Mariano Rigillo nei ruoli di Lombardo e Bixio – completano il felice quadro.

Giustamente definito da Sciascia come uno “scheletro nell’armadio del nostro Risorgimento”, questa fedele illustrazione del massacro di Bronte – legato a doppio filo a una damnatio memoriae atta a non scalfire la tronfiezza della nascita di una Nazione – rappresenta perfettamente l’inclinazione più autentica dell’opera di Vancini, il suo voler scavare tra le pieghe delle cronache per riportare alla luce ciò che è nascosto nell’ombra.

E’ anche il caso del bellissimo, e ancora caldo per l’epoca, La lunga notte del ’43 (1960), tratto da Bassani e sceneggiato da De Concini e Pasolini, o di Le stagioni del nostro amore (1966), amato dall’adolescente Piero Fassino, ma condannato da gran parte della sinistra del tempo per il ritratto impietoso di un giornalista comunista che assiste al tramonto dei suoi ideali. Oltre ai più celebri Il delitto Matteotti (1973) e Un dramma borghese (1980), da recuperare almeno lo sfavillante noir di La banda Casaroli (1962), tesoro dimenticato della nostra cinematografia da anni in attesa di una dovuta riscoperta.

Di seguito un montaggio di immagini curato da Vancini nel 1996 in occasione del 50 ° anniversario delle elezioni per l’Assemblea Costituente e del referendum istituzionale per la scelta tra monarchia e repubblica

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