Tutto era pronto a partire per lo spettacolo di Falstaff, al teatro Farnese di Parma. Il pubblico si era già accomodato in platea, la campanella era già suonata, l’orchestra si era già seduta. Ma il vero spettacolo, per i primi dieci minuti, l’hanno fatto i lavoratori del Teatro Regio di Parma: in 50 sono saliti sul palco, hanno appeso uno striscione e hanno letto un comunicato di protesta per la loro condizione lavorativa. “Il Teatro Regio è patrimonio di tutti e non affare di pochi”, si leggeva sullo striscione appeso al palcoscenico.
E mentre arrivavano applausi dalla platea e anche gli altri lavoratori solidarizzavano con i loro colleghi precari, sono state lette le comunicazione diffuse dalla Slc Cgil di Parma: “Lo scorso mese di maggio, in vista della riapertura del teatro Farnese con il concerto del maestro Claudio Abbado, l’assemblea dei lavoratori aveva già in stato di agitazione aveva espresso forti perplessità riguardo la sostenibilità di un evento di tale portata – spiegano i lavoratori -. In un successivo incontro con la dirigenza del teatro vennero fatte promesse ai lavoratori, ad oggi ancora non mantenute: stabilizzare 18 precari storici. Ora, a distanza di mesi, nessuno ha ricevuto alcuna notizia”.
Insomma, per gli operatori del teatro, circa una sessantina tra tecnici, maschere e via dicendo, il Teatro Regio non è stato gestito secondo le sue possibilità, un po’ come il Comune di Parma il cui ormai ex sindaco era anche presidente della Fondazione del Teatro Regio: sono stati spesi molti soldi per un evento singolo che fungeva da vetrina, come il Festival Verdi, ma non si è curata la parte quotidiana, la manutenzione ordinaria, i lavoratori che restano dietro le quinte.
“Noi lavoratori quell’impegno preso dalla Fondazione lo riteniamo un atto dovuto – proseguono i manifestanti – e chiediamo al Commissario e al futuro sindaco di Parma di non considerare risolta la questione con un nulla di fatto”. Sempre in quell’incontro si parlò di ridimensionare il Festival Verdi se non fossero arrivati finanziamenti ad hoc: “Ora noi chiediamo se ha senso spendere così tanti soldi per due mesi di lavoro quando poi non ne rimangono per tutti gli altri mesi, in cui si organizzano comunque rassegne importanti come la stagione lirica e di danza. Il teatro non è più in grado di offrire in lavoro continuativo alle maestranze, i lavoratori vivono in una situazione di incertezza economica e di mancanza di prospettive, la dirigenza continua a percepire regolari e alti stipendi senza aver dimostrato la minima disponibilità alla rinuncia di qualche privilegio. La seconda richiesta che inoltriamo al commissario è quindi quella di fare chiarezza una volta per tutte sulla gestione della fondazione”.
La protesta di ieri, che ha raccolto la solidarietà di tutto il teatro, ha voluto essere un gesto simbolico: dopo 20 minuti di ritardo, infatti, il Falstaff è andato in scena regolarmente. Ma l’obiettivo è stato quello di far arrivare ai cittadini il concetto che il teatro non è solo divertimento, ma lavoro. E soprattutto bisogna smettere di considerarlo “Un’inutile macchina da debiti – concludono -. Se ben gestito può diventare produttivo per tutta la città. Bisogna limitare gli sperperi, fare scelte artistiche equilibrate, abolire i privilegi di pochi dando stabilità a tutti. Vorremmo che la nostra voce fosse un avvertimento, per tutti, visto che il Teatro Regio è di tutti”.
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