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Liberismo o statalismo?

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Interessante scambio tra Giavazzi (Corriere della Sera) e Marcegaglia (Confindustria). “Finora per la crescita – apre l’editoriale di Giavazzi – ha fatto di più Sergio Marchionne, annunciando l’uscita di Fiat da Confindustria, del Governo che punta su una nuova linea ad alta velocità da Lecce a Trieste. Perché non è la mancanza di infrastrutture ad impedirci di crescere – almeno non in primo luogo – ma i mille interessi particolari che da decenni impediscono le riforme. E Confindustria è uno di questi”.

Giavazzi osserva inoltre che: “Un conto è la libertà di associazione, di proposta, di lobby, la promozione trasparente di interessi specifici, un altro è sedersi al tavolo con il governo per “concertare le leggi, contrattando dei do ut des con la pretesa di avere il monopolio degli interessi di tutte le imprese”.

Giavazzi aggiunge infine che la Confindustria è guidata per lo più da grandi imprese monopoliste. Sono dentro Confindustria, infatti, Poste Italiane, Ferrovie dello Stato, Telecom Italia, Eni, Autostrade, e così via. La Confindustria quindi invece di chiedere liberalizzazioni vere e maggiore concorrenza, si limita da anni a chiedere uno scambio politico con il governo. Mi dai questo e io in cambio ti appoggio e non protesto.

I punti sollevati sono molto rilevanti.

L’Italia non cresce da venti anni. Le ragioni sono almeno tre: 1) abbiamo un modello industriale basato su settori maturi e piccole imprese, incapace di sottrarsi alla concorrenza dei paesi emergenti; 2) abbiamo una pubblica amministrazione medievale che distrugge risorse; 3) non abbiamo più la possibilità di usare strumenti di compensazione come i sussidi pubblici a pioggia e soprattutto le svalutazioni del cambio (siamo nell’euro).

Abbiamo oramai un’economia duale: da una parte, un settore terziario pubblico e privato molto inefficiente ma protetto dalla concorrenza cinese, dall’altro,un settore manifatturiero sottoposto a una concorrenza feroce sui mercati. Senza possibilità di svalutare tutto il riaggiustamento è a carico del settore privato aperto al commercio mondiale. Una gigantesca iniquità.

I dipendenti pubblici sono protetti da ogni rischio mentre migliaia di operai e di ingegneri nell’industria perdono lavoro ogni giorno.

Questo è il nodo. Come uscirne?

I sogni di chi dice “usciamo dall’euro”.. sono solo sogni di chi non si rende conto di cosa vorrebbe dire distruggere la moneta unica. Se fossimo stati fuori dall’euro, quest’estate l’Italia non avrebbe resistito all’ondata di speculazione sul nostro debito. Saremmo falliti. Con una gravissima caduta della nostra ricchezza.

Il problema è rendere efficiente il settore protetto. Far sì che la giustizia civile abbia tempi europei e non da paese del terzo mondo; che la scuola produca studenti con un livello di istruzione da paese avanzato (ne abbiamo parlato nello scorso articolo); che l’energia costi quanto negli altri paesi avanzati e non un 30 per cento di più; che i trasporti siano efficienti; che il settore commerciale sia moderno; che le banche non abbiano potere di monopolio; che si sviluppi un terziario avanzato e una serie di servizi oggi assenti. Serve che le imprese che competono sui mercati mondiali possano avere costi complessivi pari ai loro partner e non costi superiori a causa delle inefficienze del settore protetto.

Per fare questo ci vuole la forza politica di realizzare riforme impopolari. Esempio: aumentare le licenze di taxi a Roma, Milano, Napoli, Palermo ecc. Questo ridurrebbe il costo dei taxi. Aumentare le licenze a nuove farmacie. Abolire gli ordini professionali. Liberalizzazioni.

Più mercato, insomma. Invece sento dire dal Pd che va battuto il liberismo.. quasi che Berlusconi e la Lega siano liberisti. A me sembrano statalisti.

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