Come tutti i grandi clown, Totò incarnava una contestazione totale, e la scoperta più commovente e anche confortante era riconoscere immediatamente in lui, dilatati al massimo, esemplificati in quell’aspetto di personaggio di Alice nel paese delle meraviglie, la storia e i caratteri degli italiani: la nostra fame, la nostra miseria, l’ignoranza, il qualunquismo piccolo borghese, la rassegnazione, la sfiducia, la viltà di Pulcinella. Totò materializzava con lunare esilarante eleganza l’eterna dialettica dell’abiezione e della sua negazione”.
Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, 1980, p. 128.

Con quasi sessant’anni di anticipo su Ezio Greggio e sulle fatine Winx, il Principe De Curtis è stato il primo attore italiano a essere immerso nelle magie della stereoscopia. Così come l’anno precedente aveva tenuto a battesimo il primissimo film a colori del Belpaese, il capolavoro Totò a colori (1952) del grande Steno, pure quest’altro più singolare primato spetta al geniale artista partenopeo. Era il 1953 e Il più comico spettacolo del mondo, diretto dal fidatissimo Mario Mattoli, fu realizzato per volere dei produttori Ponti e De Laurentiis con un sistema per la ripresa in 3D – denominato Podelvision dalle iniziali dei due cognomi – che prevedeva l’uso di due camere da presa, una per l’occhio sinistro e una per quello destro.

In tempo di recuperi e di titoli rispolverati dal passato, la pellicola nota a tutti nella versione 2D grazie ai molti passaggi televisivi sarà presentata nella sua originale veste stereoscopica alla sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma il prossimo sabato 29 ottobre. Rimesso a nuovo dopo un lungo restauro voluto da Aurelio De Laurentiis e realizzato da Cinecittà Digital Factory con la supervisione di Pasquale Cuzzupoli, il film scritto da Monicelli, Maccari, Continenza e De Tuddo mette in fila una ricca serie di numeri dalle riviste del grande attore senza perdere di vista il diretto oggetto della parodia di Il più grande spettacolo del mondo, diretto da Cecil B. DeMille appena un anno prima; anche il clown Tottons, sebbene per ragioni differenti, non può togliersi il trucco come il personaggio braccato del titolo interpretato da Charlton Heston.

In attesa di ultimo appello coi nuovi titoli di Steven Spielberg (Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno), Martin Scorsese (La straordinaria invenzione di Hugo Cabret) e Francis Ford Coppola (Twixt), il 3D è già dato per spacciato al di qua e al di là dell’Oceano. A meno che non sia funzionale al racconto, dopo l’infatuazione dei primi mesi, il pubblico ha giustamente iniziato a disertare visioni con il prezzo maggiorato solo per beccarsi una torta in faccia o per intravedere una lama baluginante nel buio della sala. Da noi, nemmeno Box Office 3D di Greggio, con il suo falso primato stereoscopico, è riuscito a invertire la tendenza. Ma Totò è tutta un’altra storia. Che il vecchio lavoro di Mattoli, colmo di tutti quei lanci di oggetti verso l’occhio della macchina da presa finalmente a ragione, risvegli il sopito interesse?

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