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Il Cavaliere dei fatti suoi

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Ferrara scrive sul giornale di B. che quello che manca al Paese è B. Forse Ferrara si è distratto, troppo attento a difendere l’indifendibile Qui Radio Londra. Se ne è accorto anche il direttore di Rai1 che vuole spostarne l’orario di programmazione.

Il Cavaliere è sempre presente. Soprattutto quando si tratta degli affari suoi e delle leggi che gli fanno comodo. È tornata all’ordine del giorno la legge bavaglio. Storia vecchia che risale al 13 giugno 2008. Era passato poco più di un mese dal giuramento del suo quarto governo, quel giorno, in Consiglio dei ministri aveva fatto approvare il disegno di legge contro le intercettazioni. Anche allora, come oggi, vi è stata l’immediata reazione di giornalisti, magistrati, di tutti coloro che vogliono vivere in democrazia.

Non importa se l’Italia va a rotoli, se la disoccupazione aumenta, con una buona purga di condoni tutto passa, ma dopo il Rubygate e il bunga bunga, che gli hanno procurato un’accusa di concussione e prostituzione minorile, la P3 che pilotava appalti e sentenze, la Procura di Trani che ha indagato sulle sue pressioni nei confronti dell’Agcom per chiudere Annozero, la P4 di Luigi Bisignani, la coppia Tarantini-Lavitola tra pupe, ricatti e consulenze varie a buon mercato, le intercettazioni sono diventate per lui, solo per lui, l’emergenza prioritaria, al punto di rischiare la sfiducia alla Camera.

L’importante per B. è tenere sotto controllo le notizie con un’adeguata censura. Quando il padrone ordina il servitor cortese Alfano esegue anche se sa che la legge, se approvata, andrà a finire sul tavolo della Corte costituzionale, della Corte europea di Giustizia, della Corte europea dei Diritti dell’Uomo perché si tratta di un provvedimento restrittivo dell’autonomia della magistratura e della libertà di stampa. Prima si sentenzia che il giornalista deve essere il cane da guardia della democrazia poi lo si mette in galera se svolge quel ruolo. Una volta che una notizia, emersa dalle intercettazioni, è di pubblica rilevanza, la notizia va data. Se la notizia esce dal Tribunale, il giornalista la deve sempre pubblicare. Non deve essere sottovalutato l’effetto intimidatorio del provvedimento: se pubblichi ti mando in galera. Esiste già una legge che prevede che le notizie non debbono uscire dalle procure. Non appena un magistrato con le sue indagini tocca un potente, vedi Napoli, parte l’ispezione, stuoli di ispettori si sono già calati sulla Procura. Ciò significa che il ministero ha gli strumenti per controllare. Se è stato commesso un illecito di punire. Non c’è bisogno di nuove sanzioni basta applicare seriamente le leggi esistenti.

da Il Fatto Quotidiano del 12 ottobre 2011

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