Stanotte alle due, mi squilla il telefono. È Natangelo, mio amico nonchè vignettista del Fatto. Rispondo preoccupato, visto l’orario. E Mario mi fa soltanto: E’ morto Steve Jobs. Siamo rimasti in silenzio alcuni minuti. Non riuscivamo a dire nulla.

E’ quasi un anno che lavoro alla biografia di Jobs: oggi il giorno previsto per andare in stampa. Ne avevo parlato con Mario in lungo e in largo. Lui, così come con altri amici, familiari, colleghi, era stato ammorbato dai miei racconti, dagli episodi della sua vita, dalla sua carica visionaria, dalle sue vicende esempio e guida per le generazioni future.

Un lavoro di questo tipo significa, quasi, vivere con una persona. Scrutarne gli umori, le emozioni, immaginarne le reazioni e le paure. E poi, dal nulla, ti arriva questa notizia. È come se fosse morto un parente, un maestro. Non è facile trovare le parole per raccontare questa sensazione, il rischio del “coccodrillo”, del compianto peloso e postumo, è sempre dietro l’angolo.

È ancora peggio, ora, pensare come oggi capitani d’azienda e falsi innovatori che abbondano in Italia esprimeranno il loro commiato. Loro, vissuti alle spalle dello Stato, sempre paurosi di fronte al rischio, cementatori dell’immobilismo specialità d’esportazione qua in Penisola, diranno che hanno perso un modello, un punto di riferimento.

E invece loro, con Steve Jobs, non c’entrano nulla. Sono l’incarnazione vivente del suo esatto contrario.

La più grande lezione che Steve Jobs ci lascia, il più grande insegnamento per la vita di ogni giorno, è semplice. Non abbiate paura. Non abbiate paura della morte, la destinazione che tutti condividiamo: siamo tutti “già nudi” tutti di fronte a lei. Per questo bisogna vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, bisogna vivere ogni minuto fino in fondo, è imperdonabile vivere la vita di qualcun altro.

Non abbiate paura di sfidare lo status quo, dice anche. Ci ricordiamo Jobs all’apice del suo successo, negli ultimi dieci anni. Ma la sua vita è stata una corsa folle senza nessun rispetto delle convenzioni, una sfida continua contro le regole costituite e i giganti dell’informatica, da Ibm a Microsoft. “Perché andare in Marina se puoi essere un pirata?” il suo insegnamento. “Se hai un’idea devi alzare la voce” il suo invito.

Non abbiate paura – è il grande testamento di Jobs – dei fallimenti. Lui, nel 1985 cacciato dalla Apple che aveva fondato nove anni prima; lui che con la sua Next visse dieci anni nell’ombra; lui che investì a fondo perduto decine di milioni di dollari in Pixar prima che questa, senza che nessuno l’avesse previsto, cambiasse il mondo dell’animazione con Toy Story; lui che dovette aspettare dodici anni prima di tornare ad Apple che andava verso la bancarotta (“Devo scegliere dove portare una nave che ha un’enorme buco sotto lo scafo”) e la trasformò poco tempo nel marchio con il più alto valore al mondo, più di Marlboro e Coca Cola; ci dice proprio questo. Tutti i miei fallimenti, a cominciare dalla cacciata da Apple: “è la cosa migliore che mi sia capitata nella vita”. Se la morte non fa paura, e lo status quo è il tuo nemico, il fallimento è una risorsa, è la molla che ti fa avanzare, che non ti fa sedere mai, che ti dà l’occasione per ricominciare sempre e tenere accesa la fiamma della fame e della follia.

In questo mondo che cambia velocemente, Steve Jobs era un faro al quale fare riferimento nella tempesta. Oggi rimane un guru da interpellare, attraverso gli episodi della sua vita, ogni volta che ci troviamo di fronte a un bivio.

In un mondo, e ancora più in un’Italia, che guarda sempre al passato, Steve Jobs è simbolo del futuro prossimo. Ed non si riesce a pensare oggi che quel futuro se ne sia andato per sempre.

Ma la sua lezione no, il suo testamento è vivo e vegeto. “Solo le persone che vogliono cambiare il mondo lo cambiano davvero” diceva spesso. Gli affamati e folli in giro per il mondo lo ricorderanno per sempre.

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