Com’era la vostra vita prima di Facebook? Come organizzavate un’uscita serale con gli amici? Quanto dovevate attendere prima di poter ricevere una risposta da un politico? Quanto costava (in tempo, organizzazione, comunicazione) mettere insieme un gruppo di lavoro per progetti a tempo determinato, mettendo insieme i migliori professionisti sulla piazza? Quanti gradi di separazione vi dividevano dal vostro giornalista preferito? E soprattutto, quante possibilità avevate di promuovere la vostra idea, la vostra battaglia, il vostro prodotto?

Lo scarto antropologico, culturale, relazionale prodotto dai social media è ancora oggetto di numerose ricerche, dibattiti e interpretazioni. È ancora presto per giungere a una risposta definitiva, a una teoria scientifica incontrovertibile: ogni dato diventa vecchio dopo due mesi. E questo è forse l’unico elemento certo in questo magma.

I social media hanno creato brecce in tutte le corporazioni: il primo risultato è che tutti sono obbligati a ‘rispondere’ agli utenti per evitare effetti passaparola non gestibil, che oggi hanno tutto per ‘far male’ a chi non offre trasparenza. Chi non lo fa perde: soldi, clienti, consenso, tempo per poi andare a recuperare situazioni che potevano essere gestite sul web se solo si avesse avuto l’umiltà di ascoltare.

Gli strumenti del cosiddetto ‘web 2.0’ hanno abbattuto moltissime frontiere geografiche, sociali ed economiche. Hanno posto al centro il valore del contenuto, oggi più importante del denaro e della proprietà dei mezzi necessari a veicolarlo. Hanno permesso ai cittadini che vivono in regimi durissimi, così come in dittature dal volto buono, di parlare. Magari non di rovesciare il potere, ma almeno di provarci.

Hanno portato interi settori economici allo sfascio, alla contrazione o alla fioritura e all’esplosione; in ogni caso hanno condotto alla modifica irreversibile dei processi creativi, artigianali, industriali. Fare arte, musica, cinema, cultura è assai diverso rispetto a dieci anni fa ed è ancora più drammatica la differenza, tra questo millennio e il precedente, nella trasformazione dell’arte in valore.

Hanno rielaborato alcune dinamiche relazionali classiche, non sempre in meglio. Hanno risemantizzato termini classici del nostro vocabolario, come amicizia, verità, finzione, ipocrisia, educazione, trasparenza. Hanno reso tutto pubblico (anche un’interazione privata, su Fb, può avvenire davanti a migliaia di lettori potenziali) e dunque con una fortissima tensione teatrale, e quasi tutto pubblicabile. Hanno esasperato le dipendenze e le psicopatologie, hanno liberato energie creative e comunitarie. In poche parole, i social media sono diventati un’estensione del nostro vissuto quotidiano, non qualcosa di qualitativamente e culturalmente diverso.

Questo ‘nuovo mondo’ è ancora incompiuto e non è detto che maturerà nella direzione auspicata dai popoli, soprattutto da chi ha atteso per tutta la vita la possibilità di farsi sentire e oggi ha, tecnicamente, il potere della voce.

I nuovi media sono mezzi potenti e sono a disposizione di tutti, sia di chi li usa per aprire le porte, per abbattere i muri, sia per chi invece vuole arroccarsi, nascondersi, ignorare. Gli strumenti sono oramai maturi e, ancora più importante, l’alfabetizzazione all’uso di questi strumenti è in via di completamento. Chi usa i social media ne conosce i meccanismi basilari di funzionamento, il loro potenziale, chi sono gli opinion leader, chi è credibile, chi mente, chi ha studiato e chi pensa che il web sia solo una gabbia presidiata da ragazzi brufolosi e con problemi di socialità.

Per tutte queste ragioni il punto di snodo è decisivo soprattutto per noi utenti, per ognuno di noi, perché oggi abbiamo la possibilità di contribuire al futuro che desideriamo se solo ci convincessimo di avere il potere di farlo attraverso il proprio profilo Facebook, i blog, i giornali online, i comportamenti di acquisto, i feedback. Fra un paio d’anni avremo completato un ciclo di campagne elettorali (politiche-amministrative-regionali) in cui i social media sono stati protagonisti, dunque la politica sarà a sua volta alfabetizzata: non basterà più essere, bisognerà saper essere.

I prossimi cinque anni saranno fondamentali per la storia dell’informazione, della politica e dell’economia. Finalmente ci sarà una stagione in cui potremo assistere (è il mio auspicio) al definitivo trionfo della qualità sulla quantità. Lo ha detto Mark Zuckerberg nella sua ultima presentazione, quella in cui annunciava la fusione con Skype: sarà più importante il comportamento dei lettori, se e quanto condivideranno ciò che sanno, rispetto al numero di fruitori passivi del servizio; vincerà il politico che si farà dettare il programma dalla ‘saggezza della folla’, le cui scelte dovranno essere correttamente interpretate, ponderate, tenute in considerazione; aumenteranno i fatturati delle aziende che sapranno prevenire gli errori e sapranno potenziare le scelte corrette sulla base dei consigli genuini dei clienti.

Vincerà chi abbandonerà le frontiere, soprattutto se queste ultime saranno un modo politicamente corretto per porre barriere tra se e l’altro. Vincerà chi sarà umile. Vincerà chi saprà ascoltare e scegliere.

(Brano estratto da un lungo articolo pubblicato su Catalogo di Frontiere – La Prima volta, a cura di Oscar Iarussi, Laterza – www.frontiereweb.it)

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