Casa dei pensieri, Festa de l’Unità di Bologna. Manca un quarto d’ora all’arrivo di Paolo Nori. Non si vede nessuno, solo il presentatore che ricorda l’avvenimento della serata. Il tempo passa, secondo annuncio, ancora nessuno in vista. Terzo annuncio, timidamente alcune persone cominciano a prendere posto. Intorno un gran brusio: gente che entra nella libreria avendo perso la strada del ristorante, coppie che incuranti della presentazione rimpallano giudizi sui volumi esposti urlando nervosamente, bambini che piangono.
Senza fanfare, ad un tratto Nori appare. Prende posto. Il pubblico aumenta esponenzialmente. Si crea anche una piccionaia a perimetro dello spazio adibito. Lo scrittore parmigiano presenta in forma di monologo I libri devono essere magri pubblicato dalla mantovana Tre Lune Edizioni, nato tre anni fa dalla collaborazione con l’artista figurativo Giuliano Della Casa (noto per le illustrazioni dell’Artusi e di Gargantua e Pantagruel per Einaudi).
Prima di buttarsi nella lettura, osserva il programma e consiglia ai presenti di non perdersi, l’11 di Settembre, il poeta russo Timur Kibirov. Detto da un laureto in Lingua e Letteratura Russa, traduttore e attento lettore di Lermontov, Puškin, Gogol, Turgenev e Chlebnikov senza tralasciare Dostoevskij (al protagonista del suo secondo romanzo Bassotuba non c’è fa ironicamente asserire: “Io ho letto tre volte I Fratelli Karamazov. Non ci ho capito un cazzo”), c’è da segnarsi l’appuntamento e non mancare.
Poi attacca. Il tono è irresistibile: la marcatura parmigiana della penultima vocale batte la costruzione di ogni descrizione famigliarmente. Ancor più irresistibile è l’ordito narrativo: stream of consciousness alla Joyce, innestato su temi trattati con purezza come in un tema di scuola dell’obbligo; il tutto corroborato da un raffinatissimo fiume carsico di reiterazioni che zampillano periodicamente a riannodare l’aria dominante. Una maniera di scrivere affatto diversa da tutto il panorama italiano contemporaneo. Come ci ha raccontato dopo il reading: “questo stile è nato con la pratica, ma senza essere costruito a tavolino. Lo studio di alcuni scrittori russi formalisti e futuristi dei primi del novecento, maestri nell’uso della ripetizione e della coralità narrativa, mi ha aiutato. Diversamente dalla prosa italiana contemporanea considero la ripetizione un’opportunità”.
I libri devono essere magri si diverte a immaginare (con l’aiuto grafico di Della Casa) come i più grandi libri siano stati scritti da autori fisicamente (e, fuor di metafora, mentalmente) snelli, che pur di arrivare in fondo alla pagina rifiutavano anche la più succulenta delle portate. Non solo l’artificio ma anche l’artefice deve essere magro. Nori, nella sua schiettezza, freschezza e ingenuità, magro, lo è sicuramente. Nei suoi scritti mai troverete un giudizio; perché un giudizio non è altro che grasso condimento che va a falsare la sostanza originale – poco importa che sia pietanza o elemento narrativo. “Io, come Malerba, credo sia più interessante mostrare le cose più che dirle. Non mi piacciano gli autori che scrivono perché convinti di avere qualcosa da dire. Apprezzo gli autori che nello scrivere vengono stupefatti dal mondo”.
Ironia della sorte il libro è ambientato proprio alla Festa de l’Unità di Bologna. Le risate del pubblico sono vibranti, quando Nori ricorda il suo tentativo fallito di confondersi tra il pubblico in fila per entrare al concerto di un gruppo il cui nome l’aveva invaghito: i Gogol Bordello. Il ripiego diventa un gruppo di liscio che propone Y.M.C.A. mentre gli stand accanto proiettano la partita Milan – Juventus. Nel libro la descrizione non comporta giudizi di valore ma, a nostra domanda, la sua risposta è laconica: “No, la genuinità delle vecchie Feste de L’Unità non riesco più a trovarla”.
Nori è nato a Parma, cosa ne pensa allora di Green money, scandalo che ha coinvolto la giunta e il sindaco Vignali? “Mi compro una Glilera, romanzo che ho pubblicato nel 2008, parla proprio delle elezioni 2007 del Comune di Parma. Il fatto che questi fossero quelli che hanno dimostrato di essere si sapeva già allora. Il progetto di una metropolitana con tre fermate per una città che non raggiunge i 200.000 abitanti, al centro della loro campagna elettorale, faceva ridere già al tempo. Per non parlare dello loro volontà di fare di Parma un esempio di sicurezza, cosa che ha prodotto unicamente terribili violenze nei confronti di persone emarginate”.
Nonostante l’ironia che affolla i suoi romanzi, nei suoi libri traspare l’idea che per scrivere sia necessario essere indigenti e arrabbiati. “Credo che il propellente dello scrivere sia la disperazione. Di motivi per essere disperato ne ho anche adesso; tanti, quasi, quando ho cominciato. Nella mia esperienza la scrittura viene fuori dalla disperazione, è una cosa che può non finire mai. Abbiamo sempre dei motivi per star male”. Nessuna retorica, i suoi occhi confermano.
di Matteo Poppi