Quello che mi colpisce, quando per partecipare ad un’assemblea pubblica sul cinema entro nel Teatro Valle occupato ormai da quarantasei giorni, sono i volti sfatti, stanchi e pallidi delle uniche due persone che conosco tra quelle che dall’inizio dell’occupazione vivono lì dentro. E poi l’odore acre di sudore e di corpi non lavati. Inizia l’assemblea e quell’odore mi comincia ad entrare dentro e ne perdo rapidissimamente la percezione. Alzo gli occhi verso i palchetti in alto e leggo lo striscione con su scritto : Com’è triste la prudenza!

Siamo stati invitati, io e il mio “collega” Mario Gianani – che ammiro da quando ha prodotto il film Private, uno di quei film che valgono da soli una carriera –  a ragionare un po’ sui meccanismi produttivi e distributivi del nostro cinema, sottoponendoci ad una raffica di domande e di riflessioni da parte di persone che lavorano nel cinema e nel teatro, ma anche da parte di alcuni spettatori che hanno voluto impiegare così tre ore del loro tempo di un pomeriggio d’agosto in fondo neanche troppo caldo. Diciamo tutti tante cose, molte banali, altre un po’ meno banali. Ma quello che conta per me è che stando lì dentro quell’odore che prima appariva sgradevole diventa via via un profumo, di quelli che non vorresti mai più strapparti di dosso.

C’è lì dentro il profumo di chi, in un paese come il nostro dedito all’indifferenza e alla prudenza,  ci vuole provare, di chi non si arrende, di chi vuole sognare con i piedi per terra, di chi dopo aver sognato vuole costruire una solida strada nuova, dove veramente la cultura, l’arte, il teatro, il cinema tornino ad essere un bene comune su cui appoggiare meglio le esistenze. Io lì dentro porto la mia faccia scura e apparentemente triste, enumero una serie di fatti che dovrebbero scoraggiare ma in realtà  sono lì a gridare in maniera diversa le stesse cose di chi mi ospita, perché non arrendersi all’idea che il cinema sia uno solo, quello che vince al botteghino, non fermarsi davanti ai tanti no e alle tante non risposte (che sono peggiori dei no) di chi gestisce il potere cinematografico in questo paese, continuare a pensare che le nuove generazioni di artisti e tecnici abbiano il diritto di  futuro, di ostinarsi a fare film dentro e fuori il sistema, è un modo forse poco ragionato, ma l’unico che conosca, di sfidare la prudenza, la tristezza della prudenza.

Torno a casa in Vespa, ma per fortuna neanche l’aria malata di Roma riesce a portare via dai miei vestiti e dal mio corpo il profumo del Valle Occupato.

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