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Val di Susa, non Black Block ma Face Block

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Dopo  36 ore di immersione totale nelle vicende e nei territori di Chiomonte, (pur essendomi tenuto a distanza dai luoghi degli scontri) dopo aver parlato con parecchia e svariata gente, un’idea me la sono fatta.
Alcune sono conferme, altre sono scoperte.

Constato che nessuno – almeno apparentemente, nelle parole successive agli incidenti – si illude di poter ridurre il movimento No Tav alla sua ….. ( che parola uso? dimensione? sottospecie? frazione?) militantistica un po’ militare. Nemmeno nelle componenti più pro-Tav del sistema politico mediatico.  Constato altresì che  però, com’era facilmente prevedibile le ferite subìte dai poliziotti (tante o poche, più o meno leggere) concentrano l’attenzione molto più delle ragioni per cui tanta gente protesta contro il Tav.

La manifestazione nazionale poteva essere l’occasione per mettere un po’ sulla difensiva la lobby pro Tav e le sue potenti espressioni mediatiche, invece è accaduto il contrario.
Per questo forse banale motivo trovo che, complessivamente, gli attacchi al cosiddetto cantiere (che cantiere non è ancora, ma solo un simulacro per fa vedere alle Ue che si è cominciato) siano stati controproducenti.  E’ ovvio che i sassi alla polizia sono stati pompati e gonfiati per sottacere invece gli spari dei candelotti ad altezza d’uomo. Ma in questa contabilità, in queste ricostruzioni non vince mai chi tira il sasso. Non so se sia possibile  un assalto rigorosamente non violento a un recinto. Ma i comitati avevano parlato di assedio pacifico e così non è stato.

Come hanno detto, tra gli altri, Beppe Grillo e Paolo Ferrero la battaglia contro il Tav non la si vince militarmente in Val di Susa, ma con l’intelligenza, la creatività, la controinformazione, la rete in tutta Italia e in tutta Europa, visto che per l’inutile tunnel di Chiomonte (e solo per questo pezzo) è l’Europa che scucirebbe i soldi.

Ma dicevo che c’è anche una scoperta e riguarda i presunti Black Block. Non ho visto qualcosa di particolarmente nero o organizzato. Ho visto arrivare a piccoli gruppi o  persino a due a due da tutta Italia dei giovani che presumibilmente han poi partecipato agli scontri. Con alcuni avevo discusso  in Facebook nei giorni precedenti. Altri riempivano improvvisati campeggi  o affollati rifugi. Non è vero che per avere una maschera antigas occorra essere “addestrati”, “professionisti della violenza”. Si compra facilmente. E il casco in genere ce l’hanno con la moto.

Leggo che persino nella cronaca del “forcaiolissimo” Numa della Stampa si racconta degli arrestati (solo cinque, e senza reati associativi) che avevano aderito a un tam tam via Facebook. Gente semplice, e talvolta disorientata. Si può dire – se si vuole criticare prima di capire – che sono dei randagi arrabbiati in cerca di occasioni per fare casino. O, viceversa, che la battaglia contro il Tav abbia acceso la passione degli idealisti fino a farli  convincere che sia una nuova Resistenza.
In ogni caso, non si tratta di Black Block se per questa parola si intende gruppi compatti vestiti di nero. Non si tratta di marziani venuti a calpestare i valsusini. Sono piuttosto un Face block, giovani che in rete e soprattutto in Facebook si scambiano informazioni e incoraggiamenti, essendo completamente diffidenti dei media tradizionali. Non sembrano proprio coltivare una strategia della violenza, ma è vero che non ne hanno il tabù. E non sarà la Santa Alleanza delle condanne istituzionali a far loro capire che ci sono modi più efficaci di lottare.

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