PONTIDA (Bergamo) – Gli applausi e i commenti delle gente sono il miglior termometro per misurare lo stato d’animo di una piazza. Lo sono anche a Pontida, dove l’enorme folla del prato sacro rumoreggia, ride, applaude e si entusiasma alle parole del Senatùr, Umberto Bossi, ancora leader indiscusso del movimento. Nonostante la fatica, sempre più palpabile. In tema di applausi il campione di incassi è senz’altro il ministro dell’Interno Roberto Maroni, che se ne sta accanto al pulpito fino all’ultimo, prima di interviene a ribadire e sottolineare le parole del capo, infiammando la platea.

I temi più caldi trattati da Bossi sono stati quelli già macinati dall’agenda politica dei giorni scorsi, quindi la riforma fiscale, i ministeri al nord, ma anche la fine delle missioni militari all’estero, temi sviluppati accanto a quelli più cari alla Lega e che davanti al suo popolo è tornata a parlare di quote latte con Calderoli, accendendo l’entusiasmo dei tanti rappresentanti della categoria accorsi a Pontida (con bandiere e trattori). Ma si è parlato anche di Equitalia, autentica ganascia per tante famiglie, tante piccole imprese. Le parole di Bossi danno il là alla folla che rispetta in pieno il copione. Un’autentica ovazione è scattata quando il Senatur ha parlato della necessità di dare una risposta ai tanti comuni virtuosi che soffrono del patto di stabilità: “Caro Giulio, se vuoi ancora i voti della Lega in Parlamento non puoi più toccare i comuni, gli artigiani e le piccole imprese”. Un urlo fragoroso ha riempito tutta la valle, seguito dai cori classici del repertorio leghista: “Libertà, libertà” e “Secessione” intervallati da qualche “Padania libera” e “Via da Roma”.

(video di Franz Baraggino e Alessandro Madron)

“Ci ha detto quello che volevamo sentirci dire” commenta soddisfatta la base, ancora una volta senza possibilità di un minimo dissenso o critica sulle parole di Bossi: “Lui è il capo, siamo leghisti. Quello che dice ci va sempre bene, altrimenti non saremmo qui a sentirlo”. E, ancora: “Chiaro che siamo d’accordo, siamo leghisti”. Sull’ipotesi di Maroni premier, lanciata da striscioni e volantini, molti sono d’accordo, qualcuno si spinge anche oltre: “Certo che vogliamo Maroni, è la persona giusta. Basta con Berlusconi”. O anche: “Decisamente d’accordo. È lui la persona giusta. È credibile, moderato, deciso. Se non ce lo fanno primo ministro meglio andare a votare”. Un passaggio è poi dedicato al trasferimento di alcuni ministeri al nord. prima si parlava del capoluogo lombardo e ora di Monza. Tutto chiaro per i militanti: “Lì a Milano non li possono più mettere, perché adesso c’è quel bastardo là”. Un commento all’elezione di Giuliano Pisapia, che ha scalzato l’ex sindaco Letizia Moratti, comunque non amata dalla base del Carroccio. Ma il tema che più di tutti ha scatenato la reazione della massa è stato quello sui dipendenti ministeriali, dipinti come dei fannulloni romani, capaci solo di intascare stipendi dorati e generare sprechi. Tra gli applausi e i cori da stadio qualcuno timidamente ha commentato: “Eh, ma sono otto anni che siamo giù, non possiamo mica lamentarci adesso”. Al di là degli umori, la sensazione diffusa è comunque quella di una Lega che vorrebbe ma non può. Di un partito che rivendica, scalpita, ma che non ha il coraggio di andare fino in fondo. La gente lo chiede a gran voce e continua a scandire “Secessione, secessione”. Uno spauracchio che torna puntualmente ogni qualvolta il movimento si sente in difficoltà.

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