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Stupro, se è la vittima
che deve giustificarsi

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E’ con una certa dose di disgusto che si apprende come Dominique Strauss Khan, appoggiato dalla instancabile moglie, abbia ingaggiato un nutrito numero di investigatori privati per rovistare pesantemente nella vita privata della cameriera Ophelia, allo scopo di trovare qualche scheletro nell’armadio.

Gli 007 ben remunerati dalla potente coppia passeranno al setaccio la vita della vedova africana che ha denunciato lo stupro, nella speranza di trovare qualche particolare – possibilmente piccante – per mettere in cattiva luce la vittima e per rovinarne l’immagine. Faccende di letto, droga, conti in sospeso con la giustizia, anche le multe non pagate possono servire a infangare.

Cosa c’entri la vita privata della donna con l’accusa di stupro rivolta a DSK non si sa. Però conosciamo il meccanismo, che poi è quello per cui la maggior parte delle donne che subiscono violenza preferisce leccarsi le ferite in silenzio piuttosto che sporgere denuncia.

E’ lo stesso meccanismo per cui se una si veste in modo provocante, se la va a cercare. Sottinteso c’è sempre il concetto che è la donna vittima a dover giustificare il suo comportamento e non l’uomo la violenza: te la sei andata a cercare, ragazza.  Se ti vestivi in maniera più decorosa, invece che come una sgualdrina, non ti succedeva niente. Ammettiamo che gli 007 di Strauss Kahn trovino prove inconfutabili che la cameriera ha una vita sentimentale allegra, questo sarebbe forse una giustificazione di cosa ha fatto lui, lo stupratore?

Non so voi, ma tutto ciò mi provoca un profondo disgusto.

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