Questa mattina, dopo una corsetta al parco, sono passata davanti al piccolo supermarket vicino a casa: aperto di domenica 1° maggio. Sono rientrata ieri dopo una settimana all’estero, quindi non ho seguito le ultime polemiche attorno alla «santificazione» che la Cgil e Susanna Camusso avrebbero fatto di questa che molti considerano una ricorrenza obsoleta. Dunque mi sono un po’ stupita, ma non troppo, di trovare aperto il piccolo supermarket. Avevo solo tre euro nella tasca della tuta, quanto bastava per un litro di latte e una busta d’insalata. Mi servivano entrambi (frigo vuoto dopo la settimana via), ma mi sono posta il problema se entrare, comprare e giustificare, in un giorno così carico di significato per i lavoratori di tutto il mondo, l’apertura di quella piccola filiale del grande colosso francese che controlla ormai gran parte della grande distribuzione di prodotti alimentari in Italia.

Soppesando lo scarso valore delle tre monete, ho capitolato: sono entrata, ho fatto il mio acquisto e, al momento di pagare, ho commentato con il cassiere: «Ma anche di Primo maggio vi fanno lavorare!». Mi aspettavo un mugugno o un sospiro, invece il signore con gli occhiali ha risposto: «Questo succede quando non si tengono più in conto i diritti dei lavoratori. E la colpa è soprattutto nostra, cioè dei lavoratori».

Naturalmente aveva, ha ragione. Ma mi chiedo quanta colpa abbia lui e la sua generazione di lavoratori e quanta noi che abbiamo festeggiato tanti 1° maggio: noi «vecchi» lavoratori che abbiamo lottato per i nostri diritti, ma non abbiamo saputo conservarli per chi è venuto dopo. O meglio, non abbiamo saputo trasmettere il valore di quei diritti, e dunque la necessità di tutelarli e conservarli.

Vi invito ad ascoltare questo contributo sonoro di Adriano Sofri, Il valore del Primo maggio, che condivido pienamente.

Buon Primo maggio a tutti.

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