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Come uccidere il Festival di Mantova

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In Italia, quello che si svolge ogni anno a Mantova, viene considerato “il” Festival. In tanti lo hanno frequentato, hanno fatto la fila per entrare agli incontri, ne hanno apprezzato i contenuti e la dimensione “umana” che, forse, solo una città come Mantova può offrire. L’emozione di incontrare tantissimi scrittori per le piccole strade della città di Virgilio è qualcosa che è difficile descrivere o quantificare in un bilancio comunale. Tutto sembrava procedere verso la quattordicesima edizione di settembre quando il Comune ha deciso di aderire all’appello del ministro Tremonti, “di cultura non si vive”, ed ha deciso di tagliare di circa il cinquanta per cento il contributo che veniva erogato per l’organizzazione del Festival. Sono stati tagliati così, senza colpo ferire, sessantamila euro. Una cifra praticamente uguale all’importante incarico di consulenza per Progetto strategico della città d’acqua di Mantova consultabile facilmente qui.

E’ giusto che il conto della crisi la paghi la Cultura? Che un Governo tecnocratico consideri un fastidio le spese per i Teatri, per il Cinema, per l’Arte e per la storia culturale del nostro Paese?

E’ giusto che, mentre in qualsiasi paese il Colosseo sarebbe considerato una fonte di rendita, in Italia debba essere salvato dal degrado da un produttore di scarpe?

E’ accettabile che lo strumento con cui si finanziano i principali centri culturali del nostro Paese, come il Regio di Torino, ovvero il FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) venga ulteriormente tagliato e che il Ministro poeta alla Cultura si limiti a dichiarare di “non avere saputo e di non condividere”. In questo contesto allora anche l’appello lanciato dalla Gazzetta di Mantova, non da un pericoloso foglio di un giornale sovversivo, per salvare il Festival diventa punto di riferimento importante da sostenere semplicemente mettendoci la faccia come hanno già fatto 2054 cittadini.

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