Il patto di sangue che lega autore e spettatore di documentari è che quello che si vede sullo schermo sia veramente quello che è successo. Due ottimi film selezionati al Sundance di quest’anno, Exit throuh the Gift Shop e Catfish, entrambi giocano con questo assunto, l’uno per parlarci del mondo dell’arte contemporanea, l’altro dell’impatto di Facebook sul nostro modo di vivere, ma entrambi in fondo per chiederci quanta parte di quello che viviamo e vediamo sia realtà e quanta parte finzione.

Exit Through The Gift Shop è un documentario di Banksy o su Banksy? Banksy stesso ci informa subito che il film doveva essere su di lui, ma che era più interessante il personaggio del regista e che quindi il film è sul regista, il paffuto francese Thierry Guetta. Venditore di vestiti usati a Los Angeles, Guetta gira ovunque armato di una videocamera riprendendo metodicamente la propria vita. Si imbatte nella Street Art, ed inizia freneticamente a frequentare la scena, riprendendo tutti i principali esponenti, da Space Invader (in questi giorni a Roma) all’arcinoto Sheperd Fairey, autore del poster di Obama. Guetta segue insomma la Stret Art nel suo percorso dalla strada alle gallerie e ai musei, fino ad imbattersi nel  rappresentante supremo del genere: Banksy, regista del film. Non appena iniziamo a pensare che la nostra curiosità sul primattore della Street Art sarà finalmente soddisfatta, Banksy gira la camera e da allora cominciamo a seguire Thierry Guetta e la sua incredibile ascesa. E’ vero? Non è vero? In un documentario questa domanda non è necessario porsela. E’ stato stabilito all’inizio. Ma Exit Through the Gift Shop è un documentario? Banksy ha casualmente trovato una persona che gli ha donato il progetto della sua vita in cambio del successo? Questo patto faustiano è un documentario vero su un personaggio finto? Banksy vuole dimostrarci che viviamo nella finzione? O che siccome nessuno ne capisce nulla l’arte contemporanea è una truffa? E se nulla di quello che abbiamo visto è vero perchè continua a vivere quando il film è ormai finito?

Catfish, di Henry Joost e Ariel Shulman (guarda il trailer) racconta invece la storia di Nev, giovane fotografo newyorkese e fratello di uno dei registi, il quale fa amicizia su Facebook con Amy. Amy ha 8 anni e vive a Ishpeming, Michigan, ma nonostante questo è una pittrice di successo che vende i suoi quadri per cifre decisamente elevate. Amy ha una sorella, Megan diciannove anni, bellissima e di talento, che pure diventa amica di Nev sul social network e in breve tempo si innamora di lui, mentre la madre, donna meravigliosa, sembra avero già benevolmente accolto nella sua “famiglia di Facebook”. Tutto troppo bello per essere vero. E infatti, mentre la camera traballa e le discussioni sono lunghe, a dirci che siamo proprio in un documentario, si scopre che non è vero nulla: i tre protagonisti, (due dei quali registi) si accorgono casualmente che le canzoni che Megan manda a Nev su Facebook come cantate da lei sono in realtà l’audio rubato da alcune registrazioni su YouTube di una cantante seminota. E non solo. Dietro al profilo di Facebook di Megan si nasconde ben altro, e quello che vediamo è tutto vero. O no? I registi riprendendo se stessi determinano attivamente dove la storia deve andare e per scoprire la verità partono alla volta di Ishpeming, dove arrivano nottetempo. Davanti a una fattoria abbandonata, illuminata solo dai fari della loro auto lo scenario all’improvviso si trasforma da quello di un reality a quello di un horror. Ma non preoccupatevi, alla fine del film i protagonisti sono ancora tutti amici su Facebook, quindi vivi, vegeti e soprattutto veri. O no?

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