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Berezovka, una domanda alla Ue

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Ci sono diversi motivi per cui il servizio del Fatto Quotidiano sui cittadini kazaki di Berezovka avvelenati dalle emanazioni di gas è degno di attenzione. Sono motivi di metodo e di merito. Intanto ci dice che la buona pratica del giornalismo d’inchiesta e di denuncia non è stata del tutto anestetizzata dalla cappa del conformismo berlusconiano, e che c’è ancora chi riesce a buttarci giù dal letto la mattina con una notizia che ti obbliga a riflettere almeno un momento in più del solito, ti interpella direttamente e ti chiede di prendere una posizione. Intendiamoci, non è un’esclusiva dei giornalisti del Fatto. Per non far torto a nessuno, vado indietro nel tempo e ricordo gli scritti di Andrea Purgatori su Ustica, oppure, se vengo alla stretta attualità, penso ai reportage di Milena Gabanelli, divenuta famosa in modo che non credo abbia desiderato. C’è anche chi, come Giancarlo Siani, ha pagato il prezzo più alto.

Insomma, pur declassati al 73mo posto da “Freedom House” nella classifica mondiale sulla libertà di informazione nel mondo, se siamo in un Paese che non vuole smettere di essere civile, dobbiamo dire grazie anche alla stampa libera.

Ma c’è anche una questione di merito che si apre su Berezovka, enorme. Dobbiamo deciderci a fare i conti con il senso d’imbarazzo, (e dovrebbe essere qualcosa di più), che proviamo quando veniamo a sapere della sovrana indifferenza con cui le aziende europee, e quelle italiane, estendono le loro operazioni in Stati in cui il diritto e i diritti sono merce rara o sconosciuta. Perché tutto sommato siamo abituati a sapere che le nostre risorse energetiche vengono da Paesi come la Libia e l’Iran, ma siamo anche ormai abituati a censurarci la scomodità morale di certi affari.

La politica, se vuole avere un ruolo riformatore e progressivo, non può limitarsi a prendere atto di uno stato di cose, e accompagnarne asetticamente il corso solo guardando ai bilanci delle multinazionali. Tolte le lenti colorate dell’ideologia, oggi dobbiamo rivendicare alla politica uno sguardo più lungo, sapendo che con tutti gli squilibri che ci teniamo fuori dalla porta di casa, prima o poi si ha da fare i conti. Non so se Gheddafi e Nazarbaiev si somigliano, ma circola un’aria di famiglia.

Proprio perché credo in questo ruolo della politica, ho voluto investire del caso Berezovka l’Unione europea, nel cui Parlamento siedo. Ho perciò indirizzato un’interrogazione con cui chiedo alla Commissione che la Direttiva comunitaria in materia sia estesa anche in Paesi non UE dove le compagnie europee operano nell’estrazione del gas o in altre concessioni minerarie. E in ogni caso, che si prendano misure per affrontare l’emergenza sanitaria. Un’interrogazione non basta, nemmeno a lavarsi la coscienza, ma ogni cammino comincia dal primo passo.

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