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Seconda Repubblica al veleno

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Adesso che il tappo è saltato, diventa chiaro a tutti perché Silvio Berlusconi premier non conviene. Mai prima d’ora, nella storia della Repubblica, si era assistito a una simile guerra di dossier. E soprattutto, mai all’interno della stessa maggioranza parlamentare si erano sentiti volare simili scambi di accuse. Mentre l’esecutivo non governa, i berluscones chiedono nuovamente le dimissioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini. E lo fanno sulla base di una presunta lettera segreta del governo di Santa Lucia che inchioderebbe suo cognato Giancarlo Tulliani per l’affaire di Montecarlo. Una lettera   di cui nessuno in Italia ha mai visto l’originale.

I finiani rispondono ringhiando. Secondo loro, dietro il documento lanciato da un sito Internet di Santo Domingo e ripreso senza se e senza ma da Il Giornale e da  Libero, ci sarebbe un’operazione orchestrata da Valter Lavitola. Un editore amico di Berlusconi e soprattutto proprietario de L’Avanti già nel periodo in cui (1997) l’ex glorioso quotidiano socialista pubblicava, sotto la direzione dell’attuale senatore Pdl Sergio De Gregorio, falsi dossier sulla supertestimone Stefania Ariosto. Il panorama, insomma, è disgustoso. Ma, bisogna ricordarlo, non è un’assoluta novità. Alle prove generali si era già assistito prima, nel 1995 quando Berlusconi e Cesare Previti producevano personalmente in tribunale registrazioni taglia e cuci di testimoni per mandare sotto processo Antonio Di Pietro. E poi, nel ‘96, quando ad Arcore veniva ricevuto un maresciallo dei carabinieri che poco dopo avrebbe calunniato l’intero pool di Mani Pulite. Oggi, però, è stato fatto un passo avanti. La tecnica del veleno si internazionalizza. Così accade che non appena la stamperia di Stato di Santa Lucia dice che l’intestazione della presunta lettera anti-Tulliani non corrisponde all’originale e invita i giornalisti de Il Fatto a contattare il ministero della Giustizia, il ministro della Giustizia in persona, dopo tre giorni di silenzio, accetta di parlare: “Il documento è vero”, afferma. Aggiungendo però che i chiarimenti arriveranno lunedì. E così altre due cose diventano chiare: mai prima d’ora il governo di un paese off-shore aveva parlato pubblicamente della sua clientela. Mai prima d’ora l’Italia era stata vicina non ai paradisi fiscali, ma alle vecchie dittature centro-americane.

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