Il suono della sua voce evoca all’istante emozioni mai sopite e ancora fortissime. Emozioni che milioni di appassionati vorrebbero continuare a provare, magari abbinate alla chitarra di Jimmy Page.

Ma l’avventura dei Led Zeppelin è terminata e, nonostante le offerte illimitate pervenute, soprattutto dopo il concerto del dicembre 2007, non c’è proprio più modo di riviverla.

C’è però il suono di quella voce che è tornato a farsi sentire, in un ambito nuovo e finora inesplorato. Band of Joy appena pubblicato è il nuovo album di Robert Plant, un’esplorazione delle radici musicali americane: il blues, il folk, il country, il rockabilly, ma anche influenze chicane come nel brano d’apertura: Angel dance.

Con questo pezzo dei Los Lobos si apre Band of Joy il viaggio di Robert Plant in tutti quegli stili sui quali tutti i gruppi rock si sono formati e a tenerli insieme c’è la sua voce che con gli anni ha perso le note più alte, quelle che fecero dire a Jimmy Page: “solo sentire la sua voce mi faceva diventare nervoso, quell’urlo primordiale ancora oggi non lo sopporto”. Ma quell’urlo, quel falsetto micidiale ha lasciato il posto a una voce più matura, in grado di ritrovare proprio nelle basse profondità la sua anima e la sua sensualità.

Silver rider

Insieme a Buddy Miller chitarrista e produttore della parte alternativa di Nashville, Robert Plant ha registrato 11 canzoni che affondano nella tradizione, spingendosi fino alla metà dell’800 più questo inedito, nato al volo un pomeriggio durante le prove. Tempo due ore ed era già finito e registrato.

Central two-o-nine

E’ la cosa più vicina a Led Zeppelin III che mi sia capitata di ascoltare da anni a questa parte. D’altronde anche l’atmosfera di quel disco, nato tra le montagne del Galles, in un cottage senza energia elettrica, con serate passate davanti al camino con la chitarra in mano, per recuperare energie e contatto tra di loro, è simile a quella creatasi per questo disco, dove Robert Plant si è lasciato guidare nell’esplorazione di questi pezzi dai suoi musicisti e dalla voce femminile che lo ha accompagnato in ogni momento, quella di Patty Griffin.

Monkey

Band of Joy non è un titolo scelto a caso, oltre alla vera gioia prodottasi in sala di registrazione e a quella dei fans.

Band of Joy è stata nel 1967 la sua prima band dalla quale poi venne messo alla porta perché ritenuto troppo scarso come cantante.

La ferita smise presto di bruciare, ma il ricordo di quei momenti è rimasto vivo: “in quei giorni cantavo con il cuore in mano ed era a quella dimensione che volevo tornare”.

C’è riuscito e l’ultimo brano del disco lo ha dedicato all’ultima canzone scritta da Townes Van Zandt il poeta acustico degli anni 70.

Harm’s swift way

Se volete ascoltare la registrazione audio del post di Sergio Mancinelli cliccate qui.

(Per la realizzazione tecnica del file audio grazie a Cristiano Ghidotti).

Articolo Precedente

Kerouac e la “Bit” generation

next
Articolo Successivo

Le due vite di Sandra Mondaini

next