Mentre la luce del mattino filtra attraverso una finestra della canonica convertita a relais, nella piccola sala dove vengono servite le colazioni, la piccola cameriera asiatica mi saluta con un sorriso dolce e timido. Ci rivediamo l’anno prossimo, le dico per cortesia, mentre sollevo la borsa sulla spalla e mi avvio a ripartire verso la città consumata dal caldo feroce di questo fine agosto. La cameriera strizza gli occhi, fa un movimento con la gola come se ingoiasse un sorso di veleno. Se mi faranno lavorare ancora qui, dice sconsolata. Non ho il cuore di chiederle da quale parte del sud-est asiatico provenga, ascolto il suono delicato delle sue parole che tintinnano come martelletti di un pianoforte nel vasto silenzio di questo eremo ovattato in terra d’Umbria a ottocento metri sopra il livello del mare. Cambogia, Laos, Vietnam, Timor Est, quale che sia la sua terra, sembra che il destino abbia lanciato per lei una moneta in aria per farla ricadere sulla cartina geografica del mondo. A quanto pare non c’era un luogo più vicino di questo che fosse disposto a offrirle un lavoro onesto per vivere.

Anche il venditore ambulante che due ore più tardi ho visto fuggire attraverso le strade del centro di una piccola città di provincia, inseguito da un carabiniere e da quattro giovani del posto intenzionati a modificare lo stato della loro giornata da “ordinaria” a “memorabile”, in una sera remota della sua vita deve aver lanciato una moneta in aria. La sua moneta però è finita in mare, come molti dei suoi compagni di traversata, al largo di Lampedusa, o di Licata, o di Porto Empedocle, al largo dei nostri aperitivi, dei nostri conti in banca, delle nostre ferie retribuite, dei nostri auguri di buon ferragosto. Lui però non immaginava prima di partire che sarebbe diventato una schiena e due spalle dietro cui inveire, un nemico da combattere, un ladro di galline da linciare.

Se lanci una moneta in aria in fondo pensi che tutto sia possibile, che il tuo posto nel mondo sarà comodo come una poltrona soffice, che passare le frontiere ha ancora un sapore forte di avventura, che il filo spinato esiste solo nelle menti della gente che ha paura. Quando lanci la tua moneta non sai che oggi abbiamo tutti paura, paura di crepare senza un contributo versato in un fondo pensione, paura di comprare una borsa contraffatta, paura di non rincontrare ogni anno le stesse cose e le stesse persone, paura di morire di noia in un pomeriggio d’estate.

Una volta, dieci o quindici anni fa, pensavo che si potesse attraversare il mondo leggendo Kerouac o Chatwin con un atlante aperto sulle gambe. Oggi negli occhi diluiti della cameriera asiatica vedo le foreste di bambù, le vette del Fan Si Pan, le distese di risaie dell’Indocina, i diecimila chilometri di terra che questa donna ha dovuto percorrere per trovare un lavoro con cui guadagnarsi da vivere. Così, alla luce di tutto questo, ho lanciato anch’io la mia moneta, e sono ancora qui ad aspettare che ricada. Qualche volta spero ancora che a rubarla in volo sia stato un uccello di passaggio, o che si sia impigliata tra le fronde di una quercia, o che l’abbia rapita il vento, oltre gli orizzonti di questi mondi di tenebre.

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