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Poniamo si arrivi a una rottura tra B. e Fini

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Vedo con grande piacere che Luigi De Magistris (ma anche Di Pietro) ha accolto la mia idea di un “governo di fedeltà costituzionale”, lanciata oltre tre mesi fa con un editoriale su “Il Fatto”. Governo “provvisorio”, uno o due anni al massimo, per ripristinare le condizioni di un voto democratico: nuova legge elettorale, legge sul conflitto di interessi, abrogazione di tutte le leggi-vergogna e “ad personam” che hanno favorito i delinquenti. Io aggiungevo la fine del sequestro dell’etere da parte di un monopolista.

Gli interventi dei lettori si concentrano, come è opportuno, ieri come oggi, sulla “fattibilità” di un governo del genere. Giusto e sacrosanto, dicono. Ottimo e abbondante. Ma dove trovare in Parlamento una maggioranza che a un governo del genere (ovviamente CONTRO Berlusconi) voti la fiducia?

Difficile. Molto difficile. Ma non impossibile. Naturalmente fino all’ultimo istante gli amici di Fini negheranno la disponibilità a estromettere Berlusconi. Ma poniamo che tra Fini e Berlusconi su una questione di “legalità” si arrivi alla rottura (i casi clamorosi si moltiplicano talmente che prima o poi potrebbe accadere. Anzi: se Fini sarà coerente accadrà).

Da una parte ci sarà Berlusconi che con tutta la potenza del suo monopolio televisivo pretenderà “elezioni subito”. Ma ha già dichiarato che non confermerà il 90% dei “suoi” attuali parlamentari. Qualcuno di loro potrebbe pensare che altri due anni con un “governo provvisorio” gli conviene. E non mancano i deputati che hanno acceso un mutuo. E comunque alla vita dell’onorevole hanno fatto la bocca.

Non sono motivi nobili. Anzi, sono motivi bassamente opportunisti. Ma talvolta “ex malo bonum”. Se intanto Idv e Pd, compatti, dichiarassero che questa è la loro ipotesi ufficiale, nello schieramento di Berlusconi in apparenza sarebbe un coro compatto di no, in realtà si aprirebbe qualche crepa in più.

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