A proposito di maestri di liberalismo, credo che mai come oggi, nell’era di Internet, dei blog e dei social network, meritino di essere rilette e meditate queste parole profetiche di Luigi Einaudi (Il buongoverno, Laterza 1973, Vol. II pagg. 627-629): “Albi di giornalisti! Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire altrui di pensare colla propria testa.

Giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa da dire o che semplicemente sentono di poter dire meglio o presentar meglio la stessa idea che gli altri dicono o presentano male…Giudice della dignità o indegnità del giornalista non può essere il giornalista, neppure se eletto membro del consiglio dell’ordine od altrimenti chiamato a dar sentenza sui colleghi…In una professione della quale tutti possono essere chiamati a far parte per una ora o per un anno o per tutta la vita…nella quale sono sempre vissuti, gli uni accanto agli altri, imbrattacarte e grandi pubblicisti, …che cosa significa un tribunale di pari? Null’altro che uno strumento fazioso per impedire agli avversari, agli antipatici, ai giovani, agli sconosciuti l’espressione libera del pensiero…Ammettere il principio dell’albo obbligatorio sarebbe un risuscitare i peggiori istituti delle caste e delle corporazioni chiuse, prone ai voleri dei tiranni e nemiche acerrime dei giovani, dei ribelli, dei non-conformisti”.

Così scriveva Einaudi nel dicembre 1945, alla vigilia della Costituente. Voce isolata, e inascoltata, in un’Italia appena liberata e già nostalgica delle corporazioni. La storia gli ha dato ragione. Cari colleghi che vi siete mobilitati, giustamente, contro la legge bavaglio, cosa aspettate a sciogliere l’Ordine degli imbavagliatori? O quanto meno a discuterne la “ratio” in una realtà come quella di oggi, con la “montagna incartata” dei grandi gruppi editoriali che si affloscia sotto i colpi delle nuove tecnologie e della comunicazione digitale?

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