“Sono Gianni Letta, buonasera ”. È il 29 settembre 2008, settantaduesimo compleanno di Silvio Berlusconi. Dopo una giornata faticosa, fatta di ricevimenti al Quirinale, d’incontri col manager Fiat Sergio Marchionne e di vertici sulla crisi Alitalia, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, richiama al telefono Angelo Chiorazzo, 35 anni, vicepresidente del gruppo “La Cascina”, la grande cooperativa di ristorazione e servizi globali, braccio secolare di Comunione e Liberazione a Roma.

Chiorazzo, ha cercato Letta nel pomeriggio perché teme che la sua holding (200 milioni di fatturato) sia ormai destinata a fallire. La Cascina deve versare al fisco 74 milioni di tasse, sanzioni e interessi. E per salvare l’azienda c’è solo una strada: ottenere uno sconto dall’Agenzia delle Entrate, più una dilazione dei pagamenti. Serve, dunque, una spinta. E Chiorazzo la chiede a Letta senza sapere che la vicenda finirà al centro di un secondo filone delle indagini della Squadra mobile di Potenza e del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri che hanno già spinto la magistratura a mettere sotto inchiesta Letta per il business degli immigrati.

Al telefono Chiorazzo ha la voce concitata: “Dottor Letta, dieci giorni fa stavamo proprio per chiudere la vicenda con Befera e poi all’improvviso un funzionario ha detto: no, l’Iva non si può transare, contro ogni parere che c’era stato dall’Agenzia…. a tutti i livelli e quindi ci siamo impantanati. Negli ultimi giorni non sono riuscito mai a parlare con Befera. Perché prima è stato male, poi è stato impegnato in riunioni”. Letta lo interrompe: “Ci provo io”.

Gli investigatori cominciano a capire. Riascoltano le intercettazioni e si rendono conto che il giovane manager ciellino da mesi pensava di aver raggiunto l’obiettivo. A luglio, su presentazione di Letta, aveva incontrato Attilio Befera, il capo dell’Agenzia, e aveva ottenuto il via libera per una transazione in base alla quale “La Cascina” avrebbe pagato venti milioni di euro in meno del dovuto e avrebbe versato i restanti 54 milioni in comode rate in 18 anni. Ma adesso c’è un problema. Un funzionario delle Entrare, Salvatore Cortese, si è messo di traverso. Secondo lui quella transazione è vietata: lo Stato italiano non può fare nè sconti nè dilazioni sulle imposte comunitarie come l’Iva. E qui l’Iva non pagata dalla Cascina e di ben 28 milioni.
 
In un rapporto del 18 febbraio 2009 gli investigatori ricostruiscono così l’intera vicenda definendola “meritevole certamente di un ulteriore approfondimento investigativo». Un approfondimento che però nessun pm, tra i tanti che hanno avuto in mano quell’informativa, ha mai fatto. Nè i poliziotti della mobile di Potenza, nè i carabinieri coordinati dal tenente colonnello Sergio De Caprio (il celebre capitano Ultimo che arrestò Riina) sono mai stati incaricati di indagare sulle “”sollecitazioni” che Letta avrebbe esercitato, su ripetuta richiesta del Chiorazzo, nei confronti di Befera” per arrivare a “un accordo transazione fiscale particolarmente vantaggioso”.

Eppure la storia dei debiti della Cascina con il fisco ha qualcosa di straordinario. Tutto comincia nel 2003 quando la magistratura di Bari mette sotto inchiesta la cooperativa e arresta alcuni suoi esponenti di spicco. Racconta a Il Fatto Quotidiano Chiorazzo: “Ci cancellarono un mega appalto per le mense delle caserme, nessuno voleva più farci lavorare. I pagamenti ritardavano e siamo entrati in crisi”. Morale: la Cascina decide di finanziarsi alle spalle del contribuente. Dichiara l’Iva e le ritenute d’acconto, ma poi non versa un euro al fisco. Per anni nessuno dice niente. E soprattutto nessuno, nonostante un debito già esigibile (cartelle esattoriali iscritte al ruolo) di 50 milioni di euro, pensa di rivalersi sulle centinaia di milioni di euro incassati in questi anni per i servizi resi dalla Cascina a decine di enti pubblici. Prima o poi, però, bisogna pagare.

Così quando la Lazio di Claudio Lotito, nonostante l’indignazione generale, ottiene uno sconto di 20 milioni di euro sui 160 dovuti al fisco (e una rateizzazione in 23 anni), Chiorazzo prova a battere la stessa strada. Prima presenta una richiesta agli uffici competenti come un contribuente qualunque. Ma gli rispondono picche. Poi si rivolge agli amici. Siamo nel dicembre del 2007. Al governo c’è Romano Prodi. In via Arenula, come ministro della Giustizia, siede invece il leader dell’Udeur, Clemente Mastella, che in quel periodo sembra fare con Chiorazzo coppia fissa. Non c’è insomma da stupirsi se – come ricorderanno agli investigatori alcuni funzionari del fisco – poco prima di Natale Mastella convoca al ministero gli sbigottiti Massimo Romano e William Rossi (all’epoca rispettivamente direttore centrale dell’agenzia delle entrate e direttore centrale dell’accertamento) e gli fa trovare nel suo ufficio tre manager della Cascina. La cooperativa infatti aveva già chiesto a Equitalia e all’Agenzia di poter contrattare e rateizzare, così come prevedeva una nuova legge in caso di aziende a rischio fallimento, il loro debito record, ma voleva essere seguita da vicino nella forse speranza di arrivare a una transazione anche sui 28 milioni di euro di Iva non versata.
 
Le riunioni tra i consulenti della Cascina e il fisco proseguono così finché non cade il governo Prodi. A quel punto Chiorazzo cambia cavallo e chiede una mano a Letta. Tra lui e il sottosegretario vengono intercettate, a partire da luglio molte telefonate. Il 3 ottobre, per esempio, di fronte all’ennesima richiesta di aiuto del manager cilellino per arrivare a una soluzione del problema, Letta, un po’scocciato per le insistenze, dice: “Ce l’ho in carico io” Ma ad ammettere, pur tra qualche imbarazzo, gli interventi di Letta in favore de La Cascina è anche il capo dell’Agenzia delle Entrate, Attilio Befera. Il primo dicembre del 2008, Befera, risponde così a chi gli chiede se abbia ricevuto “pressioni politiche ” in favore della cooperativa: “No, ho avuto segnalazioni in termine di occupazione, non pressioni. Ho avuto segnalazioni da persone politiche a esaminare questo problema tenendo conto che c’era stato un problema occupazionale. Una, me la ricordo perfettamente , era del ministro Mastella…”.  Gli investigatori gli chiedono: “E ultimamente?”. Befera è cauto: “Mi ricordo di aver avuto segnalazioni… non mi ricordo bene da chi, ma credo di più persone, credo che venissero dalla presidenza de Il Consiglio”. “Quindi dalla presidenza del Consiglio?. Befera:“ Si, sì, ma lo ripeto sempre come pura segnalazione”.” Era il dottor Letta, per caso?” Befera : “Potrebbe essere non ho particolari ricordi . . .”. ”Non credo che lei riceva tutti i giorni telefonate dalla presidenza del Consiglio, o le riceve?” Befera: “No, parlo abbastanza spesso con il dottor Letta. Potrebbe essere lui, o anche qualcuno del suo ufficio. Comunque presumo di sì, la zona è quella”.

Fatto sta che il 18 novembre tra la Cascina e l’agenzia si arriva al redde rationem: si prepara una bozza di accordo che prevede uno sconto di 19 milioni di euro e una rateizzazione in 18 anni solo per le imposte dirette, mentre per l’Iva la Cascina dovrà accontentarsi di una dilazione in sei anni. Vuol dire che dovrà pagare cinque milioni di euro all’anno. Quando il 21 novembre gli investigatori perquisiscono la Cascina un manager viene sorpreso mentre cerca di nascondere la transazione nei pantaloni. Ma nonostante le indagini tra agenzia delle entrate e la cooperativa si arriva comunque a un accordo (oggi in attesa di essere ratificato dal tribunale di Roma).

La Cascina ottiene esattamente quello che voleva. La rateizzazione di tutte le imposte, anche dell’Iva, in 18 anni. La rata annuale, spiega Chiorazzo a Il Fatto, per i primi 4 anni sarà solo di 2,5 milioni di euro. E nei 15 anni successivi salirà a 4,4. Come è stato possibile? Il 29 novembre un decreto del governo concede ai contribuenti di dilazionare anche l’Iva. Quando interrogano uno dei manager della Cascina gli investigatori non possono fare a meno di esclamare: “Questa norma sembra fatta apposta per voi”.

Di Peter Gomez e Marco Lillo

(da Il Fatto Quotidiano – n°2 – 24 settembre 2009)