1° maggio 1947: festa del lavoro a Portella della Ginestra. È un bel giorno per i lavoratori che, a centinaia, si danno appuntamento in mezzo alle montagne sassose del palermitano. L’Italia è ormai una Repubblica e la Sicilia non vuole più essere l’isola dei gattopardi, dei gabellotti, delle “coppole di velluto”. Così i paesani festeggiano e scendono a piedi, in bicicletta, con i muli, a Portella della Ginestra, in quel naturale punto d’incrocio tra le coste della Pizzuta e della Kumeta. Ma è proprio da lì, dagli speroni bianchi di quelle antiche montagne, che Salvatore Giuliano ordina il massacro. Undici morti, ventisette feriti. Tra gli spettatori muti della strage, due ragazzetti: Lillo ed Enza. A lui ammazzano il padre, lei vede in faccia i banditi. Sono i bambini della Ginestra, segnati dalla Storia. E anche dall’ingiustizia, perché invano i sopravvissuti chiederanno risposta alle loro domande. Perché e per conto di chi aveva sparato Salvatore Giuliano? Ed era stato soltanto il suo gruppo a sparare? Chi si nascondeva, in realtà, dietro le rocce della Kumeta? Le strade di Enza e di Lillo si congiungono su quella piana, in un giorno di festa che, improvvisamente, diventa tragedia. Una tragedia senza giustizia. Enza e Lillo crescono segnati da questo trauma. Un’esperienza che li unisce e, al tempo stesso, li divide. Non possono più “fidarsi”. Non riescono ad abbandonarsi ai sentimenti. Poi la voglia di vivere prende il sopravvento.