“Questa non è una liberazione: Raqqa è passata dall’occupazione dell’Isis a quella delle Forze Democratiche Siriane”. Sarmad al-Jilane, attivista siriano detenuto prima nelle carceri del governo di Damasco, in quelle di Al Nusra e finendo per un breve periodo in una prigione del califfato, dà un giudizio netto sulla situazione dell’ex capitale siriana dello Stato Islamico, conquistata il 18 ottobre scorso dall’Esercito Democratico Siriano (SDF).

Quando hanno annunciato la liberazione, continua l’attivista interpellato da IlFattoQuotidiano.it, cofondatore del gruppo Raqqa is Being Slaughtered in Silence che ha documentato le violazioni dei diritti umani compiute dai miliziani di Al Baghdadi guadagnandosi numerosi riconoscimenti internazionali, le Syrian Democratic Forces – gruppo composto da combattenti di diverse etnie e predominato dai curdi dell’Ypg, braccio siriano del Partito curdo dei lavoratori – “hanno issato l’immagine di Abdullah Ocalan, fondatore dello stesso Pkk, partito classificato come gruppo terrorista da molti stati” nella piazza centrale della città. “I bombardamenti della coalizione internazionale a guida Usa che ha appoggiato le SDF hanno mietuto oltre 3mila vittime fra i civili negli ultimi cinque mesi”, cioè da quando è cominciata l’offensiva.

Differente è la lettura di Rashed al Rashed, attivista originario di Raqqa, che parla a telefono con IlFattoQuotidiano.it dalla Turchia. “Io non so se ci troviamo di fronte a una occupazione” – argomenta – siamo alle prese con una forza che si è imposta sul terreno. Se guardiamo la situazione dal punto di vista di un civile, a questo non interessa più chi è il gruppo militare che occupa la città, ma cerca solo la sicurezza: sopravvivere”. Riguardo al futuro della città, Al Rashed auspica una collaborazione fra tutte le forze politiche. “A noi interessa che ci sia un coordinamento fra tutte le parti nell’amministrativo della città. Non mi interessa la forma del governo, chi lo ha portato, né se sono arabi o curdi – sottolinea – siamo tutti favorevoli agli sforzi per cacciare il terrorismo dalla nostra patria. Per questo crediamo che sarebbe meglio collaborare nella formazione di una autorità locale”.

In questo senso, evidenzia al Rashed, “l’Ypg deve essere aperto a tutte le opinioni e condividere il governo con gli altri, lasciando lo spazio, la voce, al popolo della città”. Secondo l’attivista, l’unica strada che può permettere ai curdi di rimanere e gestire Raqqa è quella di creare un’amministrazione condivisa con tutte le parti in campo della società civile. Questo perché “sanno che solo il 3-4% della popolazione è curda, mentre il resto è araba. Ed è un fatto importante, in quanto crediamo che l’Ypg e la Coalizione internazionale sono consapevoli che non hanno l’accettazione dei civili, né la densità di popolazione curda necessario per la gestione di una città”. Ciò, conclude, “ci spinge a credere che l’unica via sia quella di un dialogo”.

Una collaborazione di cui al momento non c’è traccia: di un vera e propria sostituzione etnica parla Jilane, secondo cui i curdi del Ypg “stanno vietando alle famiglie di ritornare alle loro case dopo aver preso il controllo di Raqqa, in aggiunta alla reclusione di decine di migliaia di altri civili in campi di prigionia”. Per questo riguardo al futuro della città, in larga parte rasa al suolo dai bombardamenti aerei, l’attivista, che lavora con l’organizzazione ‘Sound & Picture‘, vede solo due strade percorribili. “Nel caso che la coalizione internazionale a guida Usa continuasse a mantenere la stessa politica, Raqqa rimarrà sotto l’occupazione curda e allora noi resisteremo come abbiamo fatto con l’Isis. Ma nel caso in cui la città venisse lasciata ai locali, ci impegneremo insieme a ricostruire una comunità di tutti. Consapevoli che abbiamo molto da fare per combattere l’ideologia estremista”.

Intanto, proprio il gruppo di Jilane, ha lanciato una campagna mediatica in cui si chiede di conoscere la sorte delle persone sequestrate dall’Isis. “Quando le Forze Democratiche Siriane sono entrate nei luoghi di prigionia dove lo Stato Islamico rinchiudeva gli oppositori, hanno detto di non aver trovato nessuno. Ci appelliamo alla comunità internazionale perché intervenga nel farci sapere che fine hanno fatto le persone scomparse”, conclude. Fra queste anche padre Paolo Dall’Oglio, gesuita italiano sequestrato a Raqqa il 29 luglio 2013.

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