Fasi finali nel processo sulla ristrutturazione del mega attico del cardinale Tarcisio Bertone. Il pm vaticano ha chiesto una condanna a 3 anni, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 5mila euro di multa per Giuseppe Profiti, ex presidente della Fondazione Bambino Gesù. Assoluzione per insufficienza di prove è stata, invece, chiesta ai giudici per l’altro imputato del processo penale vaticano, Massimo Spina, ex tesoriere della Fondazione Bambino Gesù. Il pm accusa Profiti di aver “utilizzato in modo illecito, a vantaggio dell’imprenditore Bandera, denaro appartenente alla Fondazione Bambino Gesù”. “In particolare sono stati pagati per fini completamente extraistituzionali euro 422.005,16, utilizzandoli per effettuare lavori di ristrutturazione edilizia di un immobile di proprietà del Governatorato, destinato a residenza del Segretario di Stato emerito, per avvantaggiare l’impresa di Gianantonio Bandera”. Sabato 14 ottobre 2017 la sentenza di primo grado.

Nella sua requisitoria davanti ai giudici, il pm vaticano ha bollato come “pessima gestione di una cosa pubblica quanto avvenuto” sottolineando che “non c’è dubbio che ci sia stato peculato per la distrazione di fondi della Fondazione Bambino Gesù per la ristrutturazione dell’attico del cardinale Bertone. È un reato contro la pubblica amministrazione. Profiti mai avrebbe dovuto e potuto utilizzare questi fondi per l’appartamento del Segretario di Stato emerito. Infatti l’amministratore pubblico può avere un potere di tipo discrezionale, ma questo ha un limite e qui è incorso in un vizio che si chiama eccesso di potere. Si tratta di un uso illecito del denaro pubblico. La ristrutturazione dell’attico con i soldi della Fondazione è un atto non conforme alla legge”. Secondo il pm, infatti, Profiti “avrebbe dovuto operare scelte rispettose dei limiti interni dell’attività di gestione della Fondazione. Siamo davanti a una deviazione dai principi generali di buona amministrazione. Non c’è stato un vantaggio per la Fondazione, ma solo un esborso. Tra l’altro senza un contratto con le imprese di Bandera che hanno effettuato i lavori e senza passare dal Consiglio direttivo della Fondazione Bambino Gesù”.

Alla vigilia della sentenza, però, il processo penale vaticano non è riuscito a chiarire tutte le ombre che si sono create sulla ristrutturazione del mega attico del cardinale Bertone. A iniziare dal doppio pagamento dei lavori che, stando a quanto emerso durante la vicenda Vatileaks 2, sono stati saldati sia dalla Fondazione Bambino Gesù, sia dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. I numerosi testimoni che si sono alternati nell’aula del Tribunale, infatti, non hanno sciolto i dubbi né sulla reale metratura dell’attico, né sul costo dei lavori che ammonta alla cifra stratosferica di 792mila euro.

Se da un lato, infatti, esistono ben sette fatture emesse dall’impresa Castelli Re di Bandera per un importo di 422mila euro, pagate dalla Fondazione Bambino Gesù, dall’altro esistono altre quattro fatture, per un totale di 307mila euro, che un’impresa sempre di Bandera ha presentato al Governatorato vaticano che ha poi chiesto a Bertone di coprire le spese. A questa cifra, che era quella del preventivo presentato dalla Castelli Re, si sono poi aggiunte opere per 29mila euro. A essi vanno sommati ancora le maestranze e i materiali messi a disposizione dal Vaticano che si aggirano sui 27mila euro e quelli di ditte terze che ammontano a poco più di 5mila euro. Un totale quindi di 370mila euro che sommati ai 422mila euro pagati dal Bambino Gesù arrivano alla cifra stratosferica di 792mila euro. Bertone ha poi restituito al Governatorato i 307mila euro pagati per la ristrutturazione del suo appartamento. Sempre il porporato ha restituito in due rate (dicembre 2015 e gennaio 2016) 150mila euro alla Fondazione Bambino Gesù quando il costo della ristrutturazione, come aveva scritto Emiliano Fittipaldi nel suo libro Avarizia, sembrava essere di 200mila euro. Ma poi l’inchiesta vaticana ha evidenziato, fatture alla mano, che le spese sono state molto più alte.

In aula Profiti, manager della sanità cattolica legatissimo a Bertone che lo volle a capo dell’ospedale pediatrico della Santa Sede, ha sempre ammesso che “l’idea di fondo era quella di promuovere incontri con aziende, personaggi istituzionali ai quale illustrare le attività del Bambino Gesù, fare comunicazione e quindi fundraising. È vero: con i soldi stanziati da noi è stata ristrutturata una parte della casa del cardinale Bertone cercando di ottenere in cambio la disponibilità di potere mettere a disposizione l’appartamento”. Il progetto era quello di organizzare nell’attico del porporato cene con pochissimi invitati per ottenere cospicue donazioni per la Fondazione Bambino Gesù. Un progetto che, secondo la difesa di Profiti, avrebbe dato i suoi frutti e coperto ampiamente i costi della ristrutturazione dell’attico di Bertone.

Molto eloquente è la lettera del porporato salesiano, datata 8 novembre 2013, nella quale Bertone scrive a Profiti: “Tengo a confermare che sarà mia cura fare in modo che la copertura economica occorrente alla realizzazione degli interventi proposti nella documentazione che allego venga messa a disposizione della Fondazione a cura di terzi, affinché nulla resti a carico di codesta Istituzione”. Bisogna ammettere, però, che fin quando questo scandalo non è finito sui giornali nessuno aveva pensato di riparare l’ingente contributo economico che la Fondazione Bambino Gesù aveva dato per la ristrutturazione dei lavori dell’attico di Bertone.

Da parte sua Papa Francesco, che ha voluto questo processo penale, è sempre stato molto chiaro: “Il Bambino Gesù ha avuto una storia non sempre buona quando i medici sono diventati affaristi facendo di un ospedale pediatrico un’impresa”. Per Bergoglio “non si possono fare affari corrotti con i bambini! Il cancro più forte di un ospedale è la corruzione. Oggi una mancia qui, domani una tangente là e si finisce pian piano senza accorgersene nella corruzione. In questo mondo in cui si fanno affari sporchi, il Bambino Gesù deve dire di no. Peccatori sì, corrotti no”. Ora l’ultima parola tocca ai giudici vaticani.

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