Torna la prova Invalsi. Per 2,2 milioni di alunni anche quest’anno si ripresenta il test a crocette e con esso come sempre si annunciano gli scioperi programmati dai Cobas il 3 e il 9 maggio e un presidio al Miur organizzato il 5 maggio dalla Flc Cgil di Roma. “Per le novità – spiega Anna Maria Ajello, la presidente dell’istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione – bisognerà attendere il 2018 quando sparirà il test in terza media; verranno misurate le competenze anche in inglese e alla secondaria di secondo grado costituirà un requisito indispensabile all’ammissione all’esame di Stato”.

Per quest’anno nessun cambiamento per le 116mila classi coinvolte e gli osservatori esterni inviati in 1.950 scuole per sorvegliare il regolare svolgimento delle operazioni. Si parte mercoledì alla primaria quando i bambini delle classi seconde e quinte dovranno affrontare la prova di italiano: un test di lettura a tempo per i più piccoli che serve a valutare le capacità dei bambini di leggere e capire il significato di una parola e una prova per quelli di dieci anni, sempre a tempo, per misurare la comprensione del testo oltre alle conoscenze grammaticali degli alunni. Due giorni dopo, il 5, sarà la volta di matematica alle “elementari”: trenta quesiti che riguardano numeri, relazioni, funzioni, spazio e figure, dati e previsioni. Il 9 maggio toccherà ai 543 mila ragazzi delle “superiori” e il 15 giugno ai 571 mila studenti di terza media che per l’ultimo anno avranno l’Invalsi nell’ambito dell’esame.

Come ogni anno non mancano le polemiche e i confronti su questo tema. A schierarsi contro il sistema di valutazione che quest’anno compie dodici anni, non sono soli i sindacati dei Cobas ma anche pedagogisti del calibro di Daniele Novara, autore di oltre 52 libri dedicati all’educazione: “Pensare di valutare l’apprendimento degli alunni facendo mettere delle crocette qua e là o comunque costringendoli a cercare risposte esatte, appare un equivoco non privo di conseguenze. Imparare rappresenta un processo operativo complesso che necessita di verifiche applicative più che di nozioni da ripetere. E’ un’esperienza che va chiusa perché non ha portato alcun beneficio”. Il fondatore del centro psicopedagogico per la gestione dei conflitti è convinto che siano dannosi per i bambini più piccoli: “Creano stress nei ragazzi e negli insegnanti: esistano un sacco di pubblicazioni per la preparazione alle prove Invalsi. Così come è assurda la logica delle crocette: non c’entra nulla tutto ciò con la pedagogia”. E a chi è convinto che comunque un sistema di monitoraggio serva, Novara risponde: “Le valutazioni nel vero senso della parola devono iniziare quando i bambini sono dei ragazzi e sono in grado di reggere l’ansia emotiva di fronte ad una prova. Gli anni della scuola primaria devono essere dedicati esclusivamente ai processi dell’apprendimento. Serve una valutazione evolutiva: vanno valutati sul loro percorso non sulla performance assoluta”.

Chi non si schiera contro l’Invalsi ma da sempre ha comunque un atteggiamento di critica costruttiva nei confronti del test è Andrea Gavosto, il direttore della fondazione “Giovanni Agnelli”: “Sarebbe interessante esaminare se le competenze che vengono misurate sono poi quelle che contano davvero per la vita. Tradotto bisognerebbe guardare se chi riesce bene nelle prove Invalsi poi trova più facilmente lavoro per esempio. Bisognerebbe nel corso del tempo vedere in che misura i risultati Invalsi anticipano i successi o meno nella vita. Questa operazione è stata fatta per i test Ocse ma non è mai stata realizzata con l’Invalsi. Eppure sarebbe la maggiore forma di legittimazione di questo strumento”. Non solo. Secondo Gavosto manca un altro elemento all’Invalsi: “Ancora oggi non misuriamo se da un anno all’altro sono stati fatti dei progressi. Sono tecniche usate in altri Paesi: sostanzialmente basterebbe ripetere una serie di domande e vedere se il tasso di risposta è più alto, più basso o uguale a quello dell’anno precedente. Al netto di queste critiche la diffusione di una cultura della valutazione è necessaria. È l’unico strumento che abbiamo per sapere come vanno le nostre scuole”.

Ad appellarsi anche ai media per sensibilizzare i genitori e gli insegnanti ad avere conoscenza del fine ultimo del test ovvero il miglioramento del nostro sistema d’istruzione è Anna Maria Ajello. La presidente dell’istituto è consapevole delle criticità che esistono, sa che sono ancora molti gli insegnanti erroneamente convinti che le prove servano a giudicare il loro lavoro e che molte mamme e papà non hanno ancora compreso il valore dei test ma insiste su un fatto: “Di là di prove sì o prove no l’importante è capire cosa dev’essere verificato. Tutti si lamentano degli studenti che non capiscono quello che leggono ma poi non stiamo garantendo diritti di cittadinanza fondamentali. Abbiamo di fronte degli studenti cui dare delle garanzie. Tutta la programmazione europea ha dato fondi esclusivamente alle scuole del Sud perché avevano risultati negativi alle prove Invalsi: dobbiamo dirci quanto queste prove danno e restituiscono in valore aggiunto. In Puglia c’è stata un’azione comune della Regione e dell’ufficio scolastico regionale sulla scuola e i risultati si sono visti. Il problema non è deprimere i ragazzi ma semmai responsabilizzarli. L’Invalsi offre dei dati attendibili. Quello che è successo in Puglia deve avvenire ovunque”.

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