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A Pasqua fanno più pena gli agnellini dei bambini

A Pasqua fanno più pena gli agnellini dei bambini
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Dalle cene con Nicole Minetti alle foto abbracciato a un agnellino pasquale. E’ la parabola di Silvio Berlusconi. E così tutti a preoccuparsi della sorte delle giovani pecore.

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Bene, giusto. Però c’è qualcosa di stonato, forse. Premetto che chi scrive non mangia bistecche, tranne qualche rarissimo cedimento perché la carne è debole. Che spesso si sente come Merry, il personaggio della Pastorale Americana di Philip Roth, perché cammina a zig zag per timore di schiacciare perfino le formiche.

Però poi arriva Pasqua e vedi tutti preoccupati per gli agnellini, mentre nessuno si fila la notizia pubblicata dai giornali di mezzo mondo dei venti milioni di africani che rischiano di morire di fame. Oggi. Subito.

Viene da metterla insieme con i dati diffusi anche da Internazionale qualche giorno fa: ogni anno nel mondo si spendono 1.660 miliardi di euro per gli armamenti (gli Stati Uniti sono al primo posto con oltre il 30 per cento). Basterebbe un decimo di questa cifra colossale per rivolvere il problema della fame del mondo. E ancora meno per fornire un’istruzione adeguata a tutti i bambini del pianeta. Ormai non ne parliamo più. L’abbiamo accettato.

Se vai a vedere su siti e social trovi molta più preoccupazione per la sorte dei cuccioli di pecora che per quella dei cuccioli di uomo. Bè, sì, allora preoccupiamoci degli agnellini. Ma prima magari dei bambini.

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