Il neo-insediato presidente Usa, Donald Trump, non s’è fatto attendere ed uno dei suoi primissimi provvedimenti è un decreto che vieta l’ingresso negli Stati Uniti agli immigrati provenienti da paesi a maggioranza islamica. Sarà del tutto vero? Ecco i Paesi imputati dal tycoon: Iraq, Iran, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen.

E il Marocco (alleato di Israele), l’Arabia Saudita e le petromonarchie perché sono assenti da questa lista? Trump è un uomo d’affari, un capitalista e che capitalista, quindi risponde alla legge ‘il profitto prima di tutto’. Sono sicura che dietro l’ostentata falsa islamofobia di Trump, si nascondano ricchi affari con i cinici e spietati Emiri del Golfo. Forse ‘non tutti sanno che questo neofascista (perché di questo si tratta, inutile girarci attorno), “adora” prima di tutti e con dedizione servile “Hussain Sajwani, titolare della ditta Damac di Dubai. Insieme fanno affari d’oro costruendo nell’Emirato ville di lusso (costo da 1 a 10 milioni di dollari) e terreni da golf per super ricchi come il Trump World Golf Club”. Il giornalista algerino Tahar Lamri nella sua pagina Facebook ci fornisce un elenco eloquente delle “adorazioni” di Trump.

“Adora il suo amico saudita – musulmano e per giunta wahabita – Walid bin Talal che lo salvò dal fallimento nel 1995. Bin Talal al quale cedette il suo lussuoso yacht per 18milioni di dollari”. E chi altro ancora? “Adora Akbar El-Baker (con il quale non esita farsi fotografare), l’amministratore delegato della Qatar Airways che dal 2008 occupa un piano intero della Trump Tower a New York per un affitto stimato a 1.5 milioni di dollari l’anno”. Ne consegue che i musulmani che Trump odia tanto non sono tutti uguali. Infatti adora quelli ricchi, ma ne odia fortemente altri.

Quali? I musulmani poveri, i yemeniti bombardati da Casa Saud ed i palestinesi a cui Netanyahu ha promesso di demolire la casa nonostante il diritto internazionale condanni l’estrema destra israeliana. La ‘Trump islamofobia’ risponde alle esigenze geopolitiche del colonialismo Usa, il quale vuole togliere ai palestinesi la speranza di avere un loro Stato e distruggere l’indipendenza nazionale dell’Iran. E già perché sembra proprio che l’Iran sia l’incubo peggiore del Sig. Trump. Forse perché dopo l’accordo nucleare sta diventando un Paese competitivo? O forse perché potrebbe avere una forte egemonia in Medio Oriente? Di fatto oggi l’Iran fa paura e non solo al Sig. Trump.

Il presidente iraniano Rohani non ha tardato a rispondere: “Oggi non è più il tempo d’innalzare muri fra le nazioni, le autorità degli Stati Uniti si sono dimenticati della distruzione del Muro di Berlino”. Secondo invece, il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, la decisione del presidente Trump è “un grande regalo agli estremisti”. “#MuslimBan – ha scritto Zarif – sarà ricordato nei libri di storia come un grande regalo agli estremisti e ai loro sostenitori“, perché “la discriminazione collettiva aiuta il reclutamento dei terroristi, approfondendo le divisioni sfruttate dai demagoghi estremisti per accrescere i propri ranghi”, mentre “la comunità internazionale ha bisogno di dialogo e cooperazione per affrontare alla radice la violenza e l’estremismo in maniera globale e inclusiva”.

Il problema verte su questo punto: quale globalizzazione vogliamo? Rohani parla della globalizzazione dei diritti e della solidarietà: Trump vuole esportare il modello repressivo israelo-statunitense, globalizzando la paura per il diverso. L’islamologo Tariq Ramadan ha chiamato tutto questo ‘israelizzazione del senso comune’ finalizzata a dare agli europei la sensazione dello ‘stato d’assedio’.

Trump sta sottovalutando l’effetto collaterale delle sue scelte. Oggi più che mai è necessario aiutare tutte le popolazioni provenienti dai paesi, ai quali è stato vietato l’ingresso. Dobbiamo scendere in piazza, manifestare al fianco dei musulmani a favore di tutti i cittadini vittime del decreto del nuovo ‘grande capo Usa’. E’ un nostro dovere civico e professionale. Quello che sta facendo Trump è una violazione dei diritti umani e della libertà personale. Il suo slogan ‘American first’ oggi suona tanto quanto una inquietante minaccia, tanto quanto fu quella di chi pretendeva una razza superiore alle altre. Di quelle atrocità ancora oggi curiamo le ferite, facciamo in modo di affrontare con decisione, coraggio ed estrema urgenza questa ultima follia, prima che sia troppo tardi.

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