L’ex maresciallo Francesco Marchetto ha contribuito a condizionare le sentenze di primo e secondo grado che determinarono l’iniziale assoluzione  di Alberto Stasi nel processo per il delitto di Garlasco, poi ribaltate con l’appello bis confermato un anno fa in Cassazione. Lo si ricava dalle 15 pagine di motivazioni depositate nei giorni scorsi dal giudice monocratico del Tribunale di Pavia Daniela Garlaschelli che il 23 settembre scorso ha condannato l’ex comandante della stazione dei carabinieri di Garlasco per falsa testimonianza in merito alle deposizioni rilasciate da Marchetto nel corso del primo processo sull’omicidio di Chiara Poggi che portarono al mancato sequestro della bicicletta di Stasi, prova che, una volta acquisita, è stata invece cruciale per la condanna dell’allora fidanzato della vittima.

“Pienamente provata deve ritenersi la responsabilità penale dell’imputato alla luce delle prove acquisite”, si legge nella sentenza. “Marchetto – assiduo frequentatore delle aule giudiziarie in qualità di testimone delle numerose indagini condotte, esperto investigatore – comprese perfettamente il contenuto delle domande e, consapevolmente, rese le risposte che indussero il Giudice, pienamente convinto della bontà delle stesse (anche per l’evidente incondizionata fiducia che sembrava riporre nell’operato del Maresciallo) a non sequestrare la bicicletta nera della famiglia Stasi”, continua il giudice. Secondo il quale “l’imputato intenzionalmente raccontò una realtà differente” e siccome all’epoca era “stimato come il migliore Ufficiale di Polizia Giudiziaria di Pavia”, le sue parole “furono dirimenti sul tema”, il sequestro della bici, sul quale vi erano dubbi.

Quello che non è chiaro, aggiunge il giudice, è il motivo per cui “Marchetto scelse deliberatamente di mentire” e ricordando l’ipotesi del pubblico ministero, secondo il quale il maresciallo avrebbe cercato di coprire “il macroscopico errore compiuto nel lasciare la bicicletta nella disponibilità degli Stasi”, sottolinea come sia stato chiarito dalla Cassazione che il dolo generico sia sufficiente per l’integrazione del reato di falsa testimonianza. La sentenza poi cita uno ad uno i “vari comportamenti” del maresciallo emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale che hanno gettato “ombre sull’operato poco trasparente del soggetto”, pur non avallando l’ipotesi del complotto con il padre di Alberto Stasi con cui Marchetto aveva un “legame di conoscenza”.

Fatto sta che osserva il magistrato, “la falsa rappresentazione della realtà offerta (da Marchetto, ndr) ebbe rilevante efficacia probatoria nel corso dell’intero procedimento e fu in grado di influire sulla decisione, deviandone il corso dall’obiettivo dell’autentica e genuina verità processuale (come dimostrato dal successivo sequestro della bicicletta nera e dagli elementi di rilevanza, dedotti in relazione ai pedali della stessa)”. E anche per effetto di quella falsa testimonianza Alberto Stasi venne assolto nei primi due giudizi di merito. Il giudice ha quindi escluso le attenuanti generiche, ritenendo che sia stata pienamente provata la responsabilità penale dell’imputato. E ricorda, comminando la pena,  che “la falsa testimonianza ha avuto luogo in un procedimento per omicidio e ne ha profondamente condizionato tempi e modi”. Oltre a citare una precedente condanna di Marchetto per sfruttamento della prostituzione, oltre ai suoi tentativi di “delegittimare e screditare le deposizioni degli altri militari della Caserma e della giornalista” della Provincia Pavese che si era occupata del caso.

Appare scontata l’impugnazione della sentenza da parte dell’ex maresciallo, anche perché il reato si prescriverà tra pochi mesi. Intanto il procuratore generale di Brescia,  Pier Luigi Maria Dell’Osso al quale sono state inviate le carte processuali dopo che i legali di Alberto Stasi, attraverso una perizia, avrebbero accertato la presenza del Dna di Andrea Sempio, un amico del fratello di Chiara Poggi, sotto le unghie della vittima, fa sapere che “nei primi giorni di gennaio valuteremo le carte del caso Garlasco per un giudizio sulla richiesta di revisione”. Il fascicolo è stato affidato al giudice Enrico Fischetti, presidente della Corte d’Assise d’Appello di Brescia che ha già avuto un primo confronto con il procuratore generale. Al momento non è ancora stata fissata la data dell’udienza.

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