Amira Hass, israeliana, giornalista di Haaretz, era nei giorni scorsi a Ferrara al Festival di Internazionale, una manifestazione straordinaria, con una partecipazione viva di tante persone, soprattutto di giovane età, che cercano di capire che cosa sta succedendo, e danno l’idea di un nucleo in espansione che tra non molto originerà una fissione sociale. Ho seguito il suo workshop, dal titolo Sfuggire alle semplificazioni, assieme a una trentina di ragazze e ragazzi, molto preparati, che in massima parte vorrebbero fare i giornalisti o lavorare nella cooperazione internazionale.

L’aula, non è forse il luogo in cui Amira esprime meglio le sue qualità professionali, ma il contatto ravvicinato con una persona che ogni giorno, vive nei territori occupati, fianco a fianco con i cittadini palestinesi e cerca di tenere alta l’attenzione sulle continue violazioni dei diritti da parte israeliana, ci ha consentito di immaginare le contraddizioni di una società, come quella palestinese, dipinta spesso come monolitica. La realtà di quei luoghi è complessa, Amira cerca di scavare senza demagogia, nei comportamenti, come nel caso di ragazze e ragazzi che si fanno uccidere o lesionare gravemente ai posti di blocco agitando coltelli o tentando di assalire soldati e civili, o di donne che preferiscono la morte a una vita invivibile. Gesti e ritratti, che spesso le famiglie non condividono, ma che alla fine accettano in un coro a tratti conformista. Una società in cui si scopre la corruzione di membri dell’autorità palestinese e delle forze di polizia, a tutto vantaggio degli occupanti.

Scrivere su un giornale israeliano riuscendo a farsi leggere sia dai lettori del proprio paese sia dal mondo islamico, mantenere la credibilità, evitare di rivelare nomi di persone che potrebbero essere colpite dai suoi articoli, viaggiare attraverso una serie di paletti rigidissimi che costringono il giornalista a tacere alcuni soggetti come la tipologia di armamenti usati dalle forze israeliane, rende la vita durissima, su di una lama scivolosa, in cui è raro l’affetto da una parte e dall’altra.

Autrice di un dichiarato giornalismo di parte che si sforza di essere etico, Amira ci ha presentato un quotidiano a noi quasi incomprensibile, forse paragonabile a chi vuole scrivere “sfuggendo le semplificazioni” di mafie, vivendo nei luoghi più infettati dalla criminalità organizzata e parlando a tutti, vittime e carnefici inclusi.

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