Se non fosse una cosa seria, ci si potrebbe limitare a una risata e a una battuta: “Al ministero dell’Economia danno i numeri”. Ma la cosa è seria, visto che i numeri in questione sono quelli che anno dopo anno sono finiti sotto la voce dismissioni immobiliari del Def, ovvero il Documento di economia e finanza che è il principale documento di programmazione sul bilancio dello Stato. Qui ogni volta un focus è dedicato proprio alla vendita degli immobili pubblici, uno degli strumenti individuati dal governo per fare cassa e contribuire così alla riduzione del debito pubblico.

Prendiamo per esempio il Def del 2016, approvato l’8 aprile dal consiglio dei ministri e a fine mese dal parlamento: qui, a pagina 27 della sezione ‘Analisi e tendenze della finanza pubblica’, è scritto nero su bianco che grazie alla vendita degli immobili dei vari enti della pubblica amministrazione sono entrati in cassa 1.687 milioni di euro nel 2013, 1.215 nel 2014 e 946 nel 2015. Peccato che questi dati siano ben diversi da quelli riportati dal governo nel Def degli anni precedenti e nella relativa Nota di aggiornamento, ovvero il documento approvato ogni settembre per tarare le previsioni del Def in base anche alle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione europea. Numeri ballerini, quelli delle dismissioni immobiliari, come mostra la seguente tabella, dove su sfondo verde sono indicati i dati a consuntivo di volta in volta dati per assodati e su sfondo bianco i previsionali per il futuro.

Dismissioni in Def 1Gli effetti del confronto sono curiosi. Qual è il valore degli immobili venduti nel 2013 dalla pubblica amministrazione? Nel 2014 il ministero ha dichiarato cessioni per 980 milioni, poi nel 2015 gli ha fatto fare un bel balzo a 1.418 milioni, per farle salire ancora ai 1.687 milioni comunicati lo scorso aprile. Le dismissioni del 2014 invece sono finite sulle montagne russe: nel Def del 2015 sono 948 milioni, ma qualche mese dopo nella nota di aggiornamento valgono addirittura 1.701 milioni, per poi tornare giù a 1.215 milioni nell’ultimo Def.

Se il grado di consapevolezza su quanto si è fatto e su quanto si sta facendo è questo, viene da chiedersi come il ministro Pier Carlo Padoan possa pianificare le politiche per i prossimi anni. E infatti anche le previsioni per il futuro finiscono sull’altalena, come è successo l’anno scorso per le dismissioni del 2015. Oggi il ministero le valuta a consuntivo in 946 milioni, sottolineando a pagina 49 della sezione ‘Programma nazionale di riforma’ la preponderanza delle vendite “di immobili di proprietà degli enti territoriali, che hanno contribuito in maniera significativa a superare l’obiettivo previsto di 500 milioni. Solo che un anno fa l’obiettivo era di 1.000 milioni, prima che il governo lo dimezzasse lo scorso settembre, vuoi per la crisi del mercato immobiliare, vuoi per l’andamento delle vendite nei primi nove mesi dell’anno.

Andamento che non doveva sembrare dei più rosei se lo scorso novembre in un convegno in Bocconi Bruno Mangiatordi, a capo della direzione del ministero dell’Economia che gestisce il patrimonio dello Stato, parlava di risultati delle dismissioni inferiori alle attese. E se a fine dicembre si è resa necessaria la solita operazione straordinaria di cessioni di immobili a Cassa depositi e prestiti, la società a maggioranza pubblica controllata proprio dal Tesoro e con in pancia i risparmi postali degli italiani. Con tali premesse il risultato di 946 milioni è stato una sorpresa. Anche negli uffici dello stesso ministero.

Ma facciamo un passo indietro. Per capire come si fosse concluso l’anno, a inizio 2016 ilfattoquotidiano.it aveva contattato il portavoce di Padoan, il quale aveva comunicato dismissioni per 508 milioni, 50 milioni grazie all’operazione con Cdp e i restanti 458 milioni grazie a vendite fatte in precedenza. Nel 2015, aveva aggiunto il portavoce, ci sono state anche operazioni per 430 milioni di euro che hanno coinvolto Invimit, la società creata dal Tesoro per valorizzare gli immobili pubblici grazie a investimenti fatti attraverso fondi immobiliari. Si tratta per lo più di operazioni di due tipi: un ente pubblico conferisce una proprietà immobiliare a un fondo gestito da Invimit e in cambio riceve quote del fondo, oppure vende l’immobile a un fondo finanziato da un altro ente pubblico, per esempio l’Inail. In entrambi i casi il bilancio complessivo dello Stato non cambia, perché non c’è alcun effetto sul debito pubblico.

Per questo – spiegava il portavoce – il valore di tali operazioni non è stato sommato ai 508 milioni di dismissioni vere e proprie. Come mai quattro mesi dopo il dato è lievitato da 508 a 946 milioni? Una fonte vicina al ministero che lavora alle dismissioni degli immobili pubblici riferisce a ilfattoquotidiano.it che nel nuovo dato sono comprese le operazioni con Invimit, in precedenza escluse dal calcolo. Non resta che chiedere di nuovo al Tesoro, che per formulare la risposta attende quasi un mese e alla fine sostiene che no, nei 946 milioni di euro le operazioni Invimit non ci sono: “Il dato comunicato a gennaio era riferito al 30 settembre 2015. Nel frattempo gli enti locali hanno comunicato altre operazioni di dismissione e il dato certificato dall’Istat è di 946 milioni”.

Già, perché l’altro aspetto della questione è che il ministero non acquisisce i suoi dati direttamente dai vari enti sparsi sul territorio nazionale, ma dall’Istat. E le stime dell’istituto di statistica continuano a variare perché alcune amministrazioni comunicano con ritardo di mesi le proprie operazioni. E può succedere – fanno sapere da via XX settembre – che l’Istat registri una cessione immobiliare ma in seguito la debba stornare perché è saltato fuori che ad acquistare il bene non è stato un privato, ma un altro ente pubblico. Che cosa accadrà ai 946 milioni dichiarati questa volta? Parola al prossimo aggiornamento del Def.

@gigi_gno

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