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Sul Fatto del 6 marzo: il manifesto di Zagrebelsky per dire “no al referendum”

Domenica in edicola ampi stralci del documento redatto dal giurista con tutti i motivi per votare "no" e tutte le risposte alle obiezioni di chi è a favore. In 15 punti Zagrebelsky smonta gli argomenti che saranno oggetto della campagna del governo e di Matteo Renzi
Sul Fatto del 6 marzo: il manifesto di Zagrebelsky per dire “no al referendum”
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Diranno di sì, “diremo di no”. In edicola il Fatto Quotidiano pubblica in esclusiva il manifesto scritto dal costituzionalista Gustavo Zagrebelsky per Libertà e Giustizia che lancia la campagna per il “no” al referendum di ottobre. L’appuntamento è decisivo, i sondaggi accreditano che solo il 21% degli italiani andrebbero a votare per sostenere le riforme. E tuttavia, a questo dato, si contrappone l’impegno del governo che le ha caldeggiate e promosse con anche una discesa in campo di Matteo Renzi disposto ad andare “in tutte le parocchie”.

A questa campagna risponde il testo del giurista che in 15 punti condensa altrettanti motivi per votare contro e tutte le risposte alle obiezioni confezionate in questi mesi da chi è a favore. Inizia dal refrain del “gli italiani aspettano queste riforme da vent’anni” e termina con l’autopromozione dei proponenti, per cui non si possono sconfessare i “saggi” che hanno scritto le riforme. Gli italiani che “aspettano”, sostiene poi il costituzionalista, non sono tutti gli italiani ma solo alcuni, sempre quelli: “gli stessi che negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il baricentro a favore del governo o del leader”. E dunque: “A coloro che vogliono parlare “per gli italiani”, diciamo: parlate per voi”.

Anche chi tira in ballo l’Europa trova nel testo risposte nette, così come chi usa strumentalmente il tema della “governabilità” dell’Italia cui devono contrapporsi, semmai, “partecipazione e governo”. Entra nel gorgo dei nodi costituzionali, il giurista, contestando alla radice l’esistenza di un “governo costituente” che definisce di per sé “espressione ambigua”, degna dei “governi dei caudillos e dei colonnesi sudamericani”. Perché il popolo e la sua rappresentanza, in democrazia, possono essere “costituenti”.

Mentre i governi? I governi sono l’espressione di una parte del Paese e della politica, e “devono stare sotto la Costituzione, non sopra”. Non manca l’avvertimento a quanti pensano che in caso passasse il “sì”, allora sarebbe un verdetto legittimante, un plebiscito. E qui, si arriva allo scontro tra le ragioni dei numeri e quelle supreme del diritto e della democrazia. Domani, gli stralci del documento redatto dal presidente emerito della Corte Costituzionale.

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