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Stragi di Parigi, sopravvissuti contro lo Stato: “Chiamai la polizia, prima non risposero e poi dissero ‘peggio per voi'”

La commissione parlamentare istituita per fare luce sugli attentati del 13 novembre ha cominciato ad ascoltare i superstiti e i familiari delle vittime: in tanti puntano il dito contro poliziotti, medici legali e altri rappresentanti dello Stato, che nell’urgenza non hanno dimostrato né l’efficienza, né l’umanità necessarie
Stragi di Parigi, sopravvissuti contro lo Stato: “Chiamai la polizia, prima non risposero e poi dissero ‘peggio per voi'”
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Hanno avuto inizio lunedì gli incontri con i sopravvissuti e i familiari delle vittime del 13 novembre da parte della commissione parlamentare istituita in Francia per fare piena luce sugli attentati. Quelle persone stanno vuotando il sacco: ricordano. E anche accusano. Perché le cose non stanno andando come previsto: ad eccezione dei pompieri, la cui umanità viene ampiamente elogiata, in tanti puntano il dito contro poliziotti, medici legali e altri rappresentanti dello Stato, che nell’urgenza non hanno dimostrato né l’efficienza, né soprattutto l’umanità necessarie.

Caroline Langlade era al Bataclan quella terribile sera. Con una quarantina di persone riuscì a rifugiarsi in una loggia. Bloccarono l’entrata con un divano e il frigorifero. “Chiamai il 112 ma non rispose nessuno – ha dichiarato davanti ai deputati – volevamo un consiglio, non sapevamo cosa fare. Allora ho telefonato a mia mamma a Nancy, che ha chiamato la polizia locale”. In seguito un poliziotto ha chiamato Caroline “ed è stato molto bravo, rassicurante, così anch’io sono riuscita a rassicurare gli altri”.

Il problema è che il tempo passava e loro restavano all’interno (ci rimarranno più di tre ore). Uno degli attentatori chiedeva da fuori che aprissero la porta, diceva di essere uno delle forze dell’ordine. Caroline richiamò la polizia. “Mi rispose una donna. Mi disse in maniera fredda che, se non parlavo più forte, non capiva niente. Ma io non potevo, perché c’era il terrorista al di là della porta”. La donna aveva capito benissimo che Caroline era al Bataclan. “Ma a un certo momento mi ha detto che le stavo occupando la linea per nulla e che c’erano urgenze più importanti della nostra. Ha aggiunto: peggio per voi. E ha chiuso d’un tratto la comunicazione”.

Georges Salines aveva sua figlia al Bataclan quella sera. Lei non ce l’ha fatta. E il padre l’ha saputo attraverso i tweet di sconosciuti. “Sono nostri conoscenti – ha raccontato – che sono venuti a sapere su Twitter della morte di mia figlia, il 14 novembre, e ce l’hanno detto. Noi non avevamo ricevuto alcuna comunicazione ufficiale. Per l’informazione dei familiari, è stato un disastro”. Quanto a Sophie Dias, suo padre (di origini portoghesi) è morto davanti allo Stade de France. “Quando sono andata a riconoscere la salma – ha raccontato – un medico legale mi ha detto: non si preoccupi, se non possiamo mostrarle la faccia, almeno un piede glielo facciamo vedere”. Sophie è arrabbiata anche perché “sono stata avvertita della morte di mio padre dal consolato del Portogallo a Parigi, che mi ha chiamato già il 14 sera, mentre, perché le autorità francesi si facessero vive, c’è voluto almeno un giorno e mezzo”.

Anche Mohammed Zenak, la cui figlia è stata ferita al Comptoir Voltaire, ha preso la parola dinanzi alla commissione d’inchiesta, ricordando che “bisogna affrontare la questione delle responsabilità dello Stato in questa storia”. Alexis Lebrun, sopravvissuto del Bataclan, si è chiesto “perché alla sala concerto non ci fosse la polizia e non si facessero delle perquisizioni, dato che il pericolo di un attentato in un luogo del genere esisteva, eccome”.

Le audizioni andranno avanti per mesi. Georges Fenech, deputato dei Repubblicani (il partito di Nicolas Sarkozy), alla guida della commissione, ha ricordato che “noi non siamo procuratori, né giudici o commissari di polizia. Ma ricerchiamo, comunque, la trasparenza su quanto accaduto, la verità. E soluzioni per il futuro”.

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