Non più il direttore generale ma l’amministratore delegato indicato dal ministero del Tesoro. Un cda non più eletto dalla Vigilanza, ma in parte dal Parlamento, in parte dal governo e in parte dall’assemblea dei dipendenti. Un presidente “di garanzia” che avrà bisogno dei due terzi della commissione di vigilanza. Altro che “i partiti fuori dalla Rai“, come prometteva il presidente del Consiglio Matteo Renzi. La riforma della Rai diventa legge e cristallizza quello che è successo negli ultimi 60 anni: cioè lo spoil system all’interno della tv pubblica, il principale “vettore di cultura” del Paese.

“Il Presidente del Consiglio aveva promesso di togliere la Rai ai partiti e restituirla ai cittadini – spiegano in una nota congiunta il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, ed il segretario dell’Usigrai, Vittorio di Trapani – E invece l’ha messa alle dirette dipendenze del governo. Con un doppio colpo, Palazzo Chigi ha portato sotto il proprio diretto controllo i 2 pilastri dell’autonomia e dell’indipendenza dei Servizi Pubblici: fonti di nomina e finanziamenti“. E, proseguono, “ora c’è il concreto rischio di scivolare ancora più in basso” nelle classifiche mondiali per la libertà di informazione dove, peraltro, “l’Italia è già da troppo tempo in fondo”.

Duro anche il commento del senatore Maurizio Gasparri (Fi), autore della precedente riforma di Viale Mazzini: questa, dice, è “una leggina che sarà stracciata per la sua palese illegalità”, “un atto di protervia che sarà la Corte ad abolire”, in cui “comanda tutto un amministratore delegato scelto dal governo, negando quattro sentenze della Corte Costituzionale“. E il nome del senatore forzista viene citato dal presidente della commissione di Vigilanza Rai Roberto Fico, per commentare il nuovo provvedimento. “Non esiste nessuna riforma della Rai – scrive su Facebook – Quella approvata poco fa al Senato è una Gasparri 2.0“. Ovvero “la peggiore legge che si potesse congegnare per il servizio pubblico”. Poi denuncia: “In pericolo ci sono il pluralismo e la libertà di informazione con gravi conseguenze per gli equilibri democratici”.

Il via libera finale e definitivo è arrivato oggi al Senato, con l’approvazione per alzata di mano, cioè senza la registrazione dei voti, perché nessuno ha chiesto di votare con procedimento elettronico. La scorsa settimana tutto era saltato all’ultimo momento per la mancanza del numero legale. Le norme già approvate alla Camera sono state confermate in blocco dall’assemblea di Palazzo Madama. A Montecitorio erano state introdotte alcune modifiche relative, tra l’altro, alla pubblicazione degli stipendi dei dirigenti oltre 200mila euro (compresi i giornalisti, ma escluse le star della tv) e alla previsione di una consultazione pubblica prima del rinnovo della concessione il prossimo anno. Dall’entrata in vigore della legge l’attuale direttore generale Antonio Campo Dall’Orto acquisirà i poteri previsti dalla riforma per l’amministratore delegato, mantenendo comunque quelli attuali.

I poteri dell’amministratore delegato
L’ad, secondo le nuove norme, è nominato dal cda (che lo può anche revocare) su proposta dell’assemblea dei soci (dunque del Tesoro), resta in carica per tre anni e può essere revocato dallo stesso consiglio. Può nominare i dirigenti, ma per le nomine editoriali deve avere il parere del cda (che, nel caso dei direttori di testata, è vincolante se fornito a maggioranza dei due terzi). Secondo un emendamento approvato in commissione alla Camera, assume, nomina, promuove e stabilisce la collocazione anche dei giornalisti, su proposta dei direttori di testata e nel rispetto del contratto di lavoro giornalistico; può firmare contratti fino a 10 milioni di euro e ha massima autonomia sulla gestione economica. Prevista l’incompatibilità con cariche di governo, anche se ricoperte nei 12 mesi precedenti alla data della nomina; l’ad deve, inoltre, essere nominato tra coloro che non abbiano conflitti di interesse e non cumulino cariche in società concorrenti; all’ad spetta anche l’approvazione del piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale, con la pubblicazione degli stipendi dei dirigenti.

“Da oggi – osservano nella nota Fnsi e Usigrai – la Rai sarà guidata da un amministratore delegato, quindi da un capo azienda con molti più poteri, scelto direttamente dal governo. Allo stesso tempo, con la Legge di Stabilità, il governo si prende il controllo anno per anno anche dei finanziamenti del Servizio Pubblico, uno degli strumenti più forti per condizionare la gestione e le scelte editoriali della Rai”.

Il presidente e il cda
In prima lettura al Senato, con un emendamento di Forza Italia, è stata introdotta la figura del presidente ‘di garanzia’, che viene nominato dal cda tra i suoi membri, ma deve ottenere il parere favorevole della commissione di vigilanza con i due terzi dei voti. I componenti del cda sono 7 al posto degli attuali 9: quattro eletti da Camera e Senato, due nominati dal governo e uno designato dall’assemblea dei dipendenti. Previsti precisi requisiti di onorabilità per i consiglieri.

Il superdirettore generale
In fase di prima applicazione della legge, al direttore generale sono conferiti i poteri dell’amministratore delegato. Un emendamento dei relatori approvato in commissione alla Camera specifica che il direttore generale mantiene anche le attuali competenze.

Il contratto di servizio e gli appalti
L’articolo 1 prolunga a cinque anni la disciplina dei contratti per lo svolgimento del servizio pubblico e potenzia il ruolo del consiglio dei ministri, che delibera indirizzi prima di ciascun rinnovo del contratto nazionale. Alla Camera è stata introdotta una norma con la previsione di una consultazione pubblica in vista del rinnovo della concessione del prossimo anno. L’articolo 3 detta norme sulla responsabilità dei componenti del cda e prevede la deroga, rispetto all’applicazione del codice dei contratti pubblici, per i contratti aventi per oggetto l’acquisto e lo sviluppo di programmi radiotelevisivi. Alla Camera è stato ridotto l’ambito di applicazione della deroga.

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